L’impeachment di Trump al Senato e il dilemma di McConnell

di Domenico Maceri* –

Le accuse di impeachment a Donald Trump risulterebbero in una “sentenza di condanna in tre minuti precisi”. Così Jeff Nadler, presidente della Commissione Giudiziaria alla Camera mentre spiega la serietà dei capi di accusa sull’attuale inquilino della Casa Bianca. I democratici hanno deciso su due capi d’accusa dopo le indagini sull’Ucrainagate. Il primo consiste dell’abuso al potere e il secondo di ostruzione al Congresso, ambedue approvati dalla Commissione Giudiziaria con 23 voti favorevoli (tutti democratici) e 17 contrari (tutti repubblicani). L’aula voterà la prossima settimana e in caso di approvazione la palla passerà al Senato nel 2020 per il processo.
Nadler è ovviamente di parte come parlamentare democratico ma le indagini della Commissione Intelligence alla Camera hanno riscontrato chiare evidenze che Trump ha infatti abusato dei suoi poteri. Com’è ormai noto, il presidente americano ha chiesto a Volodymyr Zelensky, suo omologo ucraino, di aprire un’indagine su Joe Biden, suo possibile avversario alle elezioni presidenziali del 2020. Così facendo, Trump ha cercato per la seconda volta di usare l’interferenza straniera per influenzare il risultato dell’elezione a suo favore.
La prima occasione avvenne nella campagna elettorale del 2016 quando l’allora candidato Trump chiese pubblicamente ai russi di rilasciare le e-mail di Hillary Clinton. I russi lo fecero mediante Wikileaks. Le indagini di Robert Mueller sul Russiagate hanno chiarito categoricamente che la Russia ha interferito nell’elezione del 2016 per aiutare Trump anche se non furono delineate prove di collusione fra le due parti.
Nel caso sull’Ucrainagate però la richiesta di aiuto per essere rieletto ci è pervenuta dalle trascrizioni della telefonata di Trump con Zelensky, confermata anche dal noto whistleblower (informatore). Le testimonianze in audizioni a porte aperte e anche a porte chiuse alla Commissione Intelligence ci hanno confermato il tentativo corrotto di Trump.
Come nel caso di Russiagate, Trump ha classificato le recentissime indagini sull’interferenza ucraina come una caccia alle streghe; i suoi collaboratori repubblicani alla Camera lo hanno quindi assecondato e hanno fatto di tutto per ostacolarle, hanno inoltre criticato i loro colleghi democratici di non dare l’opportunità al presidente di potersi difendere.
Quando poi verso la fine del processo di indagine i leader democratici hanno offerto l’opportunità al presidente di partecipare, l’avvocato della Casa Bianca Pat Cipollone ha inviato una risposta negativa. Trump non invierebbe nessun legale a rappresentarlo. In effetti, Trump ha criticato la metodologia dei democratici e poi non ha accettato il loro invito di giocare la partita.
Trump sa benissimo che alla Camera, dominata dai democratici, non ci sono per lui possibilità di vittoria e sta scommettendo tutto sul processo al Senato dove lui giocherà in “casa”, considerando la maggioranza repubblicana alla Camera Alta. Questo sarà il grande vantaggio per Trump poiché si prevede che la maggioranza repubblicana (53 vs. 47) sotto la guida di Mitch McConnell, senatore del Kentucky, non lo condannerà anche per il fatto che tale verdetto richiede 67 dei 100 voti al Senato. Ciononostante le “filosofie” di McConnell e Trump non coincidono sulla procedura. Il presidente del Senato vuole programmare un processo rapido per mettere tutto da parte e ritornare alla sua agenda regolare. McConnell si preoccupa di mantenere Trump alla Casa Bianca ma è egualmente interessato alle elezioni del 2020 per garantire la risicata maggioranza al Senato. Da ricordare anche che i singoli senatori sono preoccupati dalla loro rielezione quindi, dovendo scegliere fra il loro futuro politico e quello di Trump, non sarebbe una scelta troppo difficile per loro, soprattutto per una manciata di senatori repubblicani in stati in bilico dove il Tycoon non li potrebbe comunque aiutare in maniera significativa.
Trump invece vorrebbe un lungo processo in cui parecchi leader democratici verrebbero al Senato per offrire testimonianze. Questi includono Adam Schiff, il presidente della Commissione Intelligence che tanto ha fatto per l’impeachment alla Camera, la speaker Nancy Pelosi, Joe Biden, ex vicepresidente, e il figlio Hunter. Trump non vuole solo l’assoluzione al Senato ma vorrebbe creare uno spettacolo nella Camera Alta le cui immagini potrebbero essere usate come materiale propagandistico nell’elezione del 2020. In effetti il Senato sarebbe costretto a divenire una specie di reality per il beneficio personale e elettorale dell’attuale inquilino della Casa Bianca.
Richiedere la testimonianza di leader democratici al processo di impeachment al Senato potrebbe condurre anche la minoranza democratica a richiedere testimonianze analoghe da parte repubblicana, come l’attuale vicepresidente Mike Pence e Mick Mulvaney, il chief-of-staff di Trump. Le regole dei processi di impeachment al Senato non fanno parte della costituzione americana ma sono stabilite dalla Camera Alta stessa. Quindi, nonostante la loro minoranza, i democratici potrebbero spingere per fare valere almeno in parte le loro ragioni.
McConnell riconosce il pericolo di un’atmosfera da circo che potrebbe emergere con le testimonianze di individui chiave da ambedue le parti. In un pranzo con colleghi repubblicani il presidente del Senato avrebbe espresso le sue preoccupazioni sul fatto che una simile eventualità potrebbe essere dannosa per ambedue i partiti ma anche per il Senato come istituzione. Un’incognita da aggiungere sono poi le intenzioni di John Roberts, presidente della Corte Suprema, il quale, secondo la costituzione americana, dirigerebbe il processo di impeachment a Trump. La presenza di Roberts toglierebbe il timone del Senato a McConnell durante il processo, una situazione poco allettante per quest’ultimo.

* Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della National Association of Hispanic Publications.