L’Inf. E quei missili nucleari che gli uUa hanno messo sotto casa dei russi

di Dario Rivolta * –

Non sappiamo cosa stia bollendo in pentola tra USA e Russia in merito al Trattato sui missili nucleari a medio raggio (INF). Nel dicembre scorso Il segretario di Stato Mike Pompeo aveva avvertito Mosca che se entro sessanta giorni non avesse adempiuto ai limiti sulla non produzione di tali missili, Washington avrebbe denunciato l’accordo. Il Cremlino rispose che non c’era alcuna violazione da parte sua e che, invece, erano gli Stati Uniti ad essere inadempienti, poiché avevano installato in Romania un sistema missilistico in grado di lanciare i Tomahawk, cioè proprio i missili a medio raggio proibiti dal Trattato. Putin aveva aggiunto due cose: che la Russia non accettava il fatto che esistesse la possibilità di avere missili nemici in grado di raggiungere Mosca in 10/12 minuti e che, se gli USA si fossero ritirati dall’INF, il suo Paese si sarebbe sentito libero di fare altrettanto. Aveva aggiunto che la Russia non avrebbe mai installato per prima in Europa missili a medio raggio, ma che lo avrebbe certamente fatto come risposta alle azioni americane.
Verso la fine di febbraio Trump ha annunciato che gli USA consideravano il Trattato oramai superato e allora Mosca ha fatto lo stesso. A partire da quel momento, i due Paesi, così come previsto dall’accordo stesso, sono obbligati a sei mesi di negoziazioni per verificare se il dissidio potrà essere composto oppure no. Solo alla fine di questo periodo, e in caso di non accordo, l’INF avrebbe cessato definitivamente di essere in vigore.
Non si ha notizia che tali negoziazioni siano o meno iniziate e nemmeno se si abbia veramente la voglia di farlo. Ugualmente è impossibile sapere quali siano le intenzioni di entrambi in merito alla produzione e all’installazione di tali missili. Ciò che si sa, però è che l’Europa non è minimamente coinvolta in queste decisioni, nonostante il vecchio continente sia proprio il terreno su cui si giocherà la partita.
Se qualcuno avesse avuto bisogno di una conferma della insipienza e della marginalità dei politici che oggi governano i Paesi membri dell’Unione, eccola!
Si è scritto che il vero obiettivo del braccio di ferro tra le due potenza riguardi piuttosto la Cina che, non avendo mai firmato quel Trattato, ha sviluppato tranquillamente tutti i missili a medio raggio che riteneva opportuni per la propria sicurezza. Rinunciare all’INF consentirebbe sia a Russia sia a Stati Uniti di riprendere la produzione di tali armi per contrapporsi alle armi in dotazione a Pechino. Qualche commentatore ha rilevato tuttavia che gli USA non hanno nulla da temere direttamente da missili nucleari a medio raggio che partissero dalla Cina poiché le coste americane sono ben più lontane dei 5500 km previsti come portata massima da tale tipo di missili e che l’accordo non proibisce quelli lanciabili da navi o sottomarini. Costoro dimenticano, comunque, che gli alleati degli americani nel Pacifico e cioè Taiwan, la Corea del Sud, il Giappone e gli Stati del sud-est asiatico si trovano perfettamente nel raggio d’azione compreso tra i 500 e i 5500 km e che sono quindi raggiungibili da tali armi. Per ciò che riguarda la Russia, è noto che, nonostante l’attuale alleanza con Pechino, a medio e lungo termine gli interessi dei due Paesi non coincidono e che Putin non ama certamente l’idea di trovarsi in svantaggio strategico e tattico con la potenza confinante. L’idea quindi che il tutto sia una manfrina per coinvolgere la Cina in un nuovo trattato di non proliferazione non può essere esclusa, ma ciò non toglie che, se un nuovo accordo non fosse raggiunto, anche l’Europa diventerà un luogo di dislocazione di questi armamenti. E’ infatti ovvio che nessuno dei due potrà ammettere che tutto sia stato fatto contro Pechino e tantomeno lo potranno dire i russi. La ripresa della corsa a queste armi significa una sola cosa: che noi ne pagheremo le conseguenze. Dove saranno stanziati i missili di media portata se la loro produzione dovesse ripartire? Esattamente: quelli russi ai nostri confini e quelli americani sul nostro territorio. Manfrina o no, Putin ha minacciosamente avvertito che se Washington sistemasse i missili in qualunque Stato europeo, tale Paese sarebbe considerato immediatamente quale possibile obiettivo di una propria ritorsione. In altre parole, qualora le tensioni tra i due dovessero aumentare fino ad arrivare ad un qualunque scontro, il campo di battaglia saremmo noi.
E’ possibile che davanti a tale possibilità l’Europa non sappia reagire in modo deciso e compatto? Che nessuno dei nostri governanti si renda conto che un’unità d’azione politica sia l’unica strada per poter avere voce in capitolo nelle grandi vicende mondiali?
Avvicinandoci alla data delle elezioni per il Parlamento Europeo, i vari partiti nazionalisti e “sovranisti” in molti Paesi sembrano essere premiati dai sondaggi che li danno in crescita. Quegli elettori che li voteranno si rendono conto, almeno loro, che rimanendo ciascuno Stato abbarbicato ai propri interessi di breve termine non si farà altro che perpetuare lo stato di inferiorità (e quindi di sudditanza) di tutti noi di fronte alle potenze compatte e più forti?

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.