L’”Islam politico” come strumento di libertà e di democrazia: intervista a Taha Bagga

di Saber Yakoubi

bagga tahaNel mondo della politica spesso le decisioni vengono attribuite a chi fa le dichiarazioni ufficiali; le conseguenze e le responsabilità di quanto detto ricadono su chi si pronuncia, come pure i benefici, mentre dietro a chi si espone vi è uno staff ed un intero apparato che impegna energie e risorse, anche economiche.
Il partito tunisino islamico-moderato Ennahda è stato oscurato per oltre quarant’anni, ancora quando era identificato con il nome di “Orientamento islamico”, ed è sopravvissuto con attività che venivano elaborate nelle cantine, nelle case private e nei garage, come accade spesso per i gruppi islamici non riconosciuti.
Taha Bagga è un nome conosciuto negli ambienti politici, tuttavia il suo volto non è oggetto dei riflettori: alla notorietà preferisce il silenzio. Nel 1988 ha sfiorato la pena di morte a causa di un evidente complotto dei Servizi segreti tunisini che osteggiavano lo sviluppo della formazione islamica: ha comunque scontato 17 anni di carcere ed oggi è considerato uno dei registi princiali del partito di maggioranza.
Lo abbiamo incontrato e gli abbiamo posto alcune domande per capire il suo ruolo e quello del suo partito nella Tunisia di oggi.
– Ormai tre anni fa il leader di Ennahda, al-Ghannoushi, ha partecipato ad un evento mediatico su Nessma Tv, canale da sempre avverso al vostro partito. E stato tuttavia notato un cambiamento radicale nella posizione del vostro leader…
“Chi conosce la storia del nostro movimento sa che noi abbiamo fatto politica con il nome di “Orientamento islamico” negli Anni ’80 e di Ennahda fin dagli Anni ’90, anche come rifugiati politici a causa del regime dittatoriale. Il concetto di “Islam politico” ha preso invece piede con le rivoluzioni, da qui all’Egitto. E’ assai più facile essere all’opposizione che alla guida di un paese ed io lo vedo già nel momento in cui chi governa si fa aiutare dalle opposizioni, per cui le rinunce fatte in nome dei compromessi vengono interpretate come debolezze, cosa che ci spinge ad essere pragmatici”.
– Lei ha parlato di “Islam politico”, un concetto che ha avuto che si è posto in evidenza sia in Tunisia che in Egitto. Tuttavia in Egitto i Fratelli Musulmani sono stati osteggiati dai gruppi salafiti, mentre in Tunisia il governo guidato da voi sta colpendo i salafiti di Ansar al-Sharia al punto di essere dichiarati dal ministro dell’Interno come organo terroristico. Vi è quindi un conflitto attorno all’idea di un “Islam politico”?
“Per prima cosa direi che la situazione egiziana e assai diversa rispetto alla nostra: i laici non riconoscono l’idea di democrazia, tant’è che le dittature laiche sono, appunto, laiche.
Anche in Tunisia i peggiori estremisti sono gli intellettuali, basti pensare che se la sinistra britannica ha condannato senza mezzi termini il golpe del 2 luglio, quella tunisina ha festeggiato.
I salafiti egiziani hanno una loro storia e possono avere un futuro, mentre in Tunisia le cose stanno ben diversamente: è stato Ben Ali a creare i salafiti ed a sfruttare la loro presenza per presentarsi al mondo come protettore degli interessi di tutti.
La società tunisina rifiuta la violenza e l’estremismo, per cui posso confermare che il progetto salafita in Tunisia non ha futuro. Per farla breve, potrei dire che chi impugna un’arma per destabilizzare il paese è un nemico della democrazia”.
– Sembra che la negoziazione con il sindacato dell’Ugtt abbia imboccato un vicolo ceco: può voler dire che stiamo andando verso un periodo di scontri e di sangue?
“Spero di no: noi crediamo nella libertà, nella legge, nella democrazia e nelle elezioni libere. L’Ugtt, per 55 anni partner dei regimi passati, aveva in loro i propri interessi, castello di carta caduto con l’affermazione di Ennahda; in occasione dei negoziati abbiamo ceduto molto, sempre poco per loro, per cui saranno le elezioni a stabilire chi governerà”.
– Piani di complotti del Golfo Arabo esistono anche Tunisia oppure sono chiacchiere infondate?
“Ci sono eccome! Le rivoluzioni hanno sorpreso le monarchie del Golfo, non erano pronti a nulla del genere, hanno temuto e temono per la loro caduta. I popoli che desideravano la libertà e il riscatto si sono mossi, ma ora le stesse monarchie stanno facendo di tutto per far vedere che le rivoluzioni hanno prodotto solo caos ed ingiustizia… basta vedere le loro emittenti tv per capirlo”.
– Che tipo di azioni praticano oggi i registi occulti del Golfo?
“Di ogni genere, soprattutto economico e diplomatico; dopo il colpo di Stato in Egitto gli Emirati Arabi hanno incarcerato oltre 3mila oppositori che manifestavano, tra i quali anche Fratelli Musulmani. Fin dall’inizio della loro comparsa le monarchie hanno fatto credere ai loro popoli di essere i custodi della religione islamica ed i protettori delle Terre sante, ma oggi proprio grazie alle rivoluzioni la loro maschera è caduta, in quanto, appunto, l’”Islam politico” rappresenta un’opportunità di istaurare un clima di libertà e di democrazia che da quelle parti non esiste”.
– Siete pro o contro un attacco per distruggere le armi chimiche in Siria?
“La storia dei crimini del regime Baas in Siria riempirebbe interi libri e tutti sappiamo cosa è successo, ad esempio, ad Amat all’inizio degli Anni ’80, quando 20mila cittadini sono stati bombardati con aerei da guerra, come pure il massacro che oggi è sotto gli occhi di tutti. Nessuno vorrebbe sicuramente un altro Iraq o un altro Afghanistan, ma un attacco mirato per mettere fine all’uccisione di innocenti sarebbe la cosa giusta: è una strategia che va accuratamente studiata e la comunità internazionale sarà chiamata a fare una scelta che, per quanto dolce, sarà amara”.