Londra pragmatica o euroscettica?

di Ercolina Milanesi –

Se uno spettro si aggira ancora per l’Europa, di sicuro non è più quello del comunismo: semmai è quello dell’euroscetticismo. La tendenza a respingere l’attuale processo di integrazione del Vecchio Continente è dilagante. David Cameron è fresco di promesse alla sua nazione: entro il 2017, chiunque gli subentri, dovrebbe indire un referendum per decidere il futuro della Gran Bretagna nell’Unione Europea. L’atteggiamento che il premier britannico promette è quello di una “opposizione costruttiva”, anche perché, evidentemente, ha constatato che la strategia del muro-contro-muro porta a risultati poco attraenti per lui e per il suo governo. La sua intenzione, infatti, non è quella di rompere subito con l’Ue, bensì di rendere le condizioni per la Gran Bretagna abbastanza tollerabili da indurre l’elettorato a votare per una permanenza nell’Ue. Che tuttora è il primo mercato di sbocco per l’economia britannica. Una cosa è certa: l’atteggiamento ufficiale britannico è l’opposto di quello del resto dell’Europa continentale, che tende, invece, ad aumentare la spesa.
È, come ai tempi di Margaret Thatcher, uno scontro fra due visioni opposte dell’economia. La prima tende a ridurre i costi della burocrazia e le regole che impediscono al mercato di svilupparsi. La seconda, al contrario, tende ad aumentare spese e regole con la convinzione che solo l’aiuto del pubblico possa rilanciare lo sviluppo del privato. Cameron può trovare sponda nei principali sostenitori dell’austerity: Germania, Svezia e Olanda, in primo luogo. Ma, anche qui, fino a un certo punto. L’austerity, per come è concepita dai tedeschi e dalle altre nazioni continentali, è sempre incentrata su un forte ruolo dello Stato: ai necessari tagli della spesa (limitati al minimo indispensabile), infatti, si accompagna una maggiore pressione fiscale, in modo da permettere all’apparato pubblico di restare il principale fornitore di servizi. Sia la Germania che gli altri Paesi “austeri” mirano comunque ad un’Ue politicamente più integrata e centralista, a costo di imporre le loro condizioni agli Stati che non rispettano i parametri economici. È ben diversa la visione strategica della Gran Bretagna di Cameron, che mira ad un ruolo più leggero dello Stato in patria e una confederazione più lasca e decentrata in Europa.
Al di fuori del dibattito più istituzionale, però, avanza l’euroscetticismo vero e proprio. Cioè l’opinione di chi, come Nigel Farage in Gran Bretagna, vede il problema nell’Ue e non nella sua organizzazione. Per il leader dell’Ukip (Uk Independence Party), l’Unione è insostenibile e sta per essere superata dalla storia. Nel suo ultimo intervento ha dichiarato che Francia e Germania non potranno più condividere lo stesso budget. Perché Parigi è, a suo avviso, ai limiti del collasso economico e rischia di trascinare Berlino con sé. Il punto di vista di Farage è sempre stato bollato come “estremista” e screditato. Ma, in molti casi, le sue previsioni si sono rivelate molto più realistiche delle composte opinioni dei partiti tradizionali.