di Riccardo Renzi –
Le dichiarazioni del presidente statunitense Donald Trump hanno segnato una svolta potenzialmente decisiva nella gestione del conflitto russo-ucraino. Minacciando di “rinunciare” al coinvolgimento degli Stati Uniti nei negoziati di pace a meno di progressi «molto rapidi», Trump ha impresso una brusca accelerazione a un processo diplomatico che, nei fatti, si è finora rivelato sterile. Dietro le sue parole, però, si muove una più ampia partita geopolitica, che chiama in causa l’intero assetto della sicurezza europea e l’equilibrio globale post-2022.
Già il segretario di Stato Marco Rubio aveva posto le basi dell’ultimatum nella stessa giornata, dichiarando che gli Stati Uniti non intendono «protrarre per settimane o mesi» dei negoziati che, secondo le sue parole, non stanno producendo «risultati tangibili». Parole che hanno trovato eco nella Casa Bianca, dove Trump ha usato il suo consueto stile diretto per ammonire entrambe le parti: “Se rendono il negoziato difficile, diremo loro che sono degli sciocchi e persone orribili, e lasceremo perdere”.
Questa narrativa si inserisce nel quadro di una strategia che da mesi vede Washington cercare una “exit strategy” onorevole, mantenendo nel contempo la pressione diplomatica su Mosca e Kiev. L’impazienza dell’amministrazione Trump è diventata evidente anche attraverso dichiarazioni parallele, come quella di JD Vance, vicepresidente USA, che, pur mantenendo un tono più ottimista, ha ammesso le difficoltà del momento.
L’approccio di Trump al conflitto in Ucraina è stato, sin dall’inizio, controverso. Durante la campagna elettorale, aveva promesso di porre fine alla guerra “in 24 ore”. Tuttavia, nei suoi primi mesi di mandato, i negoziati si sono impantanati. Trump ha più volte mostrato una maggiore comprensione per le posizioni russe, arrivando persino a definire Zelensky un “dittatore senza elezioni”, e accusando l’Ucraina di non essere disposta a compromessi. Questo atteggiamento ha alimentato sospetti sulla reale volontà statunitense di perseguire una pace che preservi l’integrità territoriale ucraina.
Nonostante ciò, l’amministrazione statunitense ha recentemente presentato una bozza di proposta per un cessate il fuoco, secondo Bloomberg. Tra i punti principali, ci sarebbe il congelamento dell’attuale situazione sul campo e l’eventuale allentamento delle sanzioni contro Mosca, a patto che la Russia accetti una tregua duratura. Un piano che, se confermato, implicherebbe il riconoscimento de facto delle linee di controllo russe su parte del territorio ucraino.
Dal canto suo, Kiev ha posto condizioni chiare: nessuna concessione sulla sovranità nazionale e sui territori occupati. Per Zelensky, l’integrità dell’Ucraina rappresenta una “linea rossa” invalicabile. Dall’altra parte, la Russia continua a imporre nuove condizioni, cercando evidentemente di guadagnare tempo e consolidare i propri successi sul terreno. I raid notturni sulle regioni di Sumy e Kharkiv sono l’ennesima dimostrazione che Mosca non ha intenzione di rallentare le operazioni militari.
Il Cremlino, tuttavia, mantiene aperto un canale di comunicazione. Secondo il portavoce Dmitry Peskov, “i progressi ci sono”, anche se ammette che le “questioni difficili”, come il futuro dei territori annessi, restano irrisolte. La posizione di Mosca è ambivalente: riconosce i contatti diplomatici con Washington, ma accusa Kiev di violazioni della tregua sulle infrastrutture energetiche.
Un aspetto meno visibile ma altrettanto cruciale del negoziato riguarda l’accordo sulle terre rare, fondamentali per le tecnologie avanzate e la transizione energetica. Washington e Kiev hanno firmato un memorandum di intesa, e si prevede che l’accordo definitivo venga siglato a breve. Questo dossier rappresenta una leva strategica decisiva per gli Stati Uniti, che vogliono ridurre la dipendenza dalla Cina e rafforzare il legame economico con l’Ucraina.
Nel frattempo, l’Europa, finora marginalizzata nei negoziati bilaterali, ha cominciato a ritagliarsi un ruolo più attivo. L’incontro di Parigi, con la partecipazione delle delegazioni francese, tedesca e britannica, ha segnato un passo in questa direzione. Seppur ancora in secondo piano rispetto alla diplomazia statunitense, i Paesi europei potrebbero diventare decisivi nel momento in cui Washington decidesse effettivamente di “voltare pagina”.
Il messaggio di Trump è chiaro: senza sviluppi concreti, gli Stati Uniti si tireranno indietro. Ma cosa significherebbe davvero questo ritiro?
Sullo sfondo si profilano due scenari. Nel primo, la pressione americana ottiene il risultato sperato: Russia e Ucraina si avvicinano a un compromesso, magari con la mediazione indiretta di Paesi terzi. Nel secondo, più probabile allo stato attuale, il ritiro di Washington apre un vuoto che l’Europa faticherà a colmare, lasciando alla Russia un margine più ampio per consolidare le proprie posizioni.
Qualunque sarà l’esito, una cosa è certa: l’annuncio di Trump non è solo una mossa tattica, ma un segnale geopolitico forte. Segna la volontà americana di ridefinire le proprie priorità globali e, forse, di riconsiderare il proprio ruolo nella sicurezza europea. In un mondo sempre più multipolare, anche la guerra in Ucraina rischia di diventare parte di una partita più ampia: quella per la leadership del nuovo ordine internazionale.