L’ultimo soldato Usa lascia l’Afghanistan, Biden passa alla diplomazia

La sconfitta di Usa e alleati, ora in crisi d’ansia su dove stipare i profughi. Una guerra costata a Washington oltre 2.300 miliardi di dollari: qualcuno per star bene deve far star male qualcun altro.

di Enrico Oliari

Dopo aver distrutto quanto non si poteva trasportare, tra cui un sistema missilistico, dopo vent’anni di occupazione gli ultimi militari statunitensi hanno lasciato l’Afghanistan.
Una guerra finita male, con la disfatta delle truppe alleate, il potere consegnato agli odiati talebani, centinaia di migliaia di civili uccisi e un paese distrutto. Gli unici vincitori occidentali sono stati i produttori di armi e di beni logistici per la guerra, che in due decenni sono riusciti ad intascarsi oltre 2.300 miliardi di dollari, denaro speso per tenere su l’economia di un paese che per star bene deve far star male qualcun altro.
Fallita la retorica dell’esportazione della pace e della democrazia, come pure di quel burqa che è tradizionale e non islamico e che comunque le donne hanno continuato a portare anche in questi vent’anni, per gli Usa i talebani rappresentano, obtorto collo, l’unica possibilità di stabilizzare il paese e di fronteggiare l’espansione dell’Isis, con cui sono in guerra da sempre.
Talebani che festeggiano, ed il loro portavoce Zabihullah Mujahid ha affermato che “ora è il momento bello della vittoria, il mondo deve imparare la lezione”.
L’accordo tra Usa e talebani voluto da Donald Trump ed ereditato da Joe Biden rappresenta per i talebani una forma di credito internazionale, per quanto le promesse di buone intenzioni e di rispetto dei diritti civili dovranno essere verificate nel tempo, una volta terminato l’attuale momento caotico. Una delle sfide dei talebani è quella di rendere monolitico un movimento frammentato in gruppi e sottogruppi, spesso autocefali, mentre dalla loro gli Usa hanno in mano miliardi di dollari dell’Afghanistan congelati. L’Afghani, la moneta locale, sta crollando, e oggi vale 0,0098 euro; i dipendenti pubblici non stanno ricevendo i salari, mentre le banche effettuano controlli sui prelievi al fine di impedire l’esportazione di denaro, con i talebani piazzati presso le entrate.
Una situazione che fa gioco al governo cinese, il quale già da tempo ha incontrato delegazioni di talebani. Al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite la Cina si è astenuta persino sulla timida risoluzione che raccomanda ai talebani moderazione, e l’ambasciatore cinese al Palazzo di Vetro ha affermato senza mezzi termini che dopo aver “devastato l’Afghanistan e ucciso innumerevoli civili, gli Usa si sono ritirati”. Più caustico il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino Wang Wenbin, per il quale “l’uscita degli Stati Uniti dimostra che la politica di interventismo militare arbitrario e l’imposizione dei propri valori e sistemi sociali su altri Paesi è destinata a fallire”. “Noi – ha aggiunto – “rispetteremo sempre la sovranità dell’Afghanistan, e non interferiremo negli affari interni di un paese con il quale vogliamo politiche amichevoli”.
Intanto a Washington il presidente Joe Biden è sotto l’occhio del ciclone per la gestione dell’evacuazione dei civili e per l’uscita frettolosa dal paese. La linea che sta seguendo è quella del “non si poteva fare altrimenti”, e sui rapporti con i talebani ha parlato di “necessità di far agire la diplomazia”. Il Pesc Josep Borrell ha puntualizzato che “dialogo non vuol dire riconoscimento”, ed ha sentito il collega statunitense Antony Blinken con il quale si è confrontato sulla necessità di dare la possibilità a quanto vogliono lasciare il paese di venir via. L’orientamento di Usa e Ue è quello di interloquire con i talebani per riaprire l’aeroporto e continuare le evacuazioni, anche se già ora è un rimpallo continuo su dove mettere centinaia di migliaia di afgani. Entrando al Consiglio europeo dei ministri degli Interni il vice presidente della Commissione europea Margaritis Schinas ha ribadito la necessità di “un accordo sul Patto per l’asilo e la migrazione”, anche perché “la crisi dell’Afghanistan non è opera dell’Ue”.
Armi verso l’Afghanistan e profughi verso l’Ue: è il prezzo della visione miope di chi per i propri interessi geopolitici pretende di misurare il mondo con il proprio metro, senza considerare le peculiarità di culture e tradizioni lontane.
George Bush aveva voluto questa guerra in risposta agli attacchi alle Torri Gemelle, ed ancora oggi c’è chi negli Usa parla di “guerra vinta” per la morte di Osama Bin Laden, saudita individuato e ucciso in Pakistan: artefici materiali della terribile azione terroristica dell’11 Settembre, costata la vita a quasi 3mila persone, erano stati 15 sauditi, due emiratini, uno egiziano ed uno libanese, nessuno afgano.