“Manine” e interessi

di Dario Rivolta *

Non ho mai amato la dietrologia e tantomeno credo a un “grande fratello” che decide ciò che deve accadere nel mondo. Che ci fosse una “mente” dietro al “capitale”, come alcuni pensavano una volta, o che oggi siano la Bilderberg o Soros a decidere destini di governi e d’interi popoli mi è sempre sembrato frutto di fantasie troppo colorate.
Non escludo che a qualcuno piacerebbe che ciò accadesse e credo che tanti amerebbero poter essere, o diventare, l’arbitro occulto di tutti i fatti politici ed economici che accadono nel mondo. Semplicemente sostengo che sia impossibile. Le variabili dell’economia e della politica internazionale sono così numerose e imprevedibili che ogni tentativo di condizionare il tutto è destinato a fallire sul nascere. Si potrebbe magari ottenere qualche risultato a breve ma è impossibile riuscire a gestire tutte le possibili evoluzioni sino in fondo. A volte la situazione può anche scappare di mano e raggiungere risultati perfino opposti a quelli prefissati.
Detto ciò, non sono così ingenuo da non vedere strane coincidenze apparentemente inspiegabili nel loro verificarsi ed escludere “manine” nascoste che riescono a far nascere improbabili governi o farne cadere altri che sembravano godere di sicuri consensi. Tutti sappiamo che i servizi segreti di ogni Paese non si limitano al controspionaggio ma, se hanno sufficiente abilità e se il loro mandante è abbastanza potente, volentieri interferiscono i nei fatti interni di altri Stati. Da un certo punto di vista è perfino legittimo che ciò avvenga: ogni governo ha l’obiettivo di massimizzare gli interessi del popolo cui deve rispondere e spesso quegli interessi si trovano in contrasto (a volte sono alternativi) ad altrettanto legittimi interessi di altri. Cercare, quindi, di infiltrare le decisioni di questi ultimi, cercare di pilotarle per ottenere condizioni a se più favorevoli, aiutare chi è più “amico” e ostacolare chi non lo è rientra nel gioco della politica internazionale. Non sto sostenendo che sia una cosa giusta e tantomeno desiderabile ma è semplicemente quel che accade. Naturalmente, meno l’intromissione straniera si rende visibile, più è facile ottenere il risultato voluto.
La recente fobia americana contro “influenze” russe nelle elezioni presidenziali rientra in quella categoria, anche se è evidente che il caso specifico è stato montato più per motivi di politica interna che estera. D’altra parte, russi o non russi, ogni americano sa che non è stato qualche possibile migliaio di email a determinare il consenso che Trump ha raccolto. Se pure fosse vero che Mosca ha cercato di interferire, gli americani non sono certo innocenti da questo punto di vista. Sarebbe fin troppo facile ricordare com’è nata la contestazione a Yanucovich in Ucraina e da chi è stato organizzato il locale colpo di stato. Per non parlare dei finanziamenti e della “informazione democratica” impiegati a favore degli oppositori di Putin prima e durante le elezioni in Russia. I casi in cui gli USA si sono intromessi in fatti interni di altri Paesi sono innumerevoli, anche se non sempre la loro “manina” è stata identificata con certezza.
Qualche dubbio sorge a proposito di strane coincidenze temporali. Per quanto riguarda noi italiani, ad esempio, ci si potrebbe domandare quanto abbiano avuto a che fare la questione di Sigonella e le posizioni decisioniste di Craxi con la sua caduta, unico a pagare personalmente in tutto il trambusto di tangentopoli. Anche di Berlusconi e degli scandali che l’hanno coinvolto qualcuno si chiede di chi sia la “manina” che passava le notizie a Repubblica e agli altri giornali a lui ostili. Lui era uno strenuo fautore della realizzazione del South Stream, avversato con forza dagli americani (soprattutto dopo Bush) e dai tedeschi. I primi non lo amavano perché volevano impedire il rafforzamento dei legami economici energetici con la Russia, i secondi sapevano che quel gasdotto avrebbe posto l’Italia in una posizione avvantaggiata rispetto a loro nella fornitura di gas a tutto il resto d’Europa. Senza il South Stream, il North Stream, magari raddoppiato, avrebbe fatto della Germania il nodo principale dei rifornimenti gasiferi per tutto il continente. Purtroppo per Berlino, anche il loro gasdotto, specialmente se raddoppiato, non piace a molti e Washington e i suoi vassalli più fedeli lo hanno detto molto chiaramente. Già Obama si era lamentato di questa operazione e aveva manifestato insofferenza per lo strapotere commerciale tedesco che vantava un enorme surplus nella bilancia commerciale bilaterale. Trump si è mostrato ancora più determinato e più esplicito. E’ una coincidenza che proprio dagli Usa siano partite le contestazioni alle automobili tedesche che non rispettavano determinati standard di emissioni? Il settore automobilistico è quello in cui la presenza tedesca sul mercato americano ha contribuito alla crisi dei produttori locali. Siamo così sicuri che tutti gli altri fabbricanti di autovetture, compreso i produttori americani, siano del tutto in regola con le emissioni?
Per quanto riguarda il gas è evidente che la realizzazione del secondo gasdotto che congiungerà la Russia e la Germania senza passare attraverso Paesi terzi è un handicap per Polonia e Paesi Baltici e non va dimenticato che tutti loro sono molto più vicini agli Usa che a Bruxelles, da cui si limitano a ricevere fondi per le loro economie. E’ altresì evidente che una volta che il North Stream II sarà in funzione, diventerà difficile giustificare l’importazione di gas americano, molto più costoso a causa della necessaria liquefazione, rigassificazione e del trasporto via mare. Eppure, gli americani hanno la necessità di smerciare il loro gas eccedente rispetto ai consumi nazionali e nel contempo sentono il bisogno di creare maggiori difficoltà per la Russia, legando sempre più a sé gli ex Paesi del Patto di Varsavia. Purtroppo per Washington il governo tedesco della cancelliera Merkel sembra determinato a realizzare quel gasdotto e lei, fino a poco fa era molto popolare nel suo Paese. Se ci limitassimo a guardare la situazione dall’esterno dovremmo dire che il maggiore ostacolo ai piani americani è proprio lei con il suo governo che sembrava (fino a poco fa) così compatto. (Personalmente non la stimo per nulla e anche a me disturba l’idea che si realizzi il North Stream dopo che hanno fatto fallire il South Stream – nda). Una Germania con un governo più debole o costretta a elezioni anticipate sarebbe automaticamente meno forte, la sua economia ne soffrirebbe e la disponibilità ad aprirsi alle esigenze degli “amici” diventerebbe necessaria. Sarà ancora una coincidenza che in tutte le ultime elezioni i partiti di opposizione hanno guadagnato terreno e che la signora Merkel abbia annunciato il suo prossimo ritiro? Andreotti diceva che a pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca.

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.