Mercenari

di C. Alessandro Mauceri

Nei giorni scorsi alcuni alti funzionari della sicurezza europea hanno riferito che l’attacco della Russia all’Ucraina è stato preceduto dall’invio di combattenti paramilitari russi. Da 300 a 400 uomini, tutti membri di uno dei più grandi gruppi di mercenari, sarebbero entrati nelle enclavi separatiste di Donetsk e Luhansk indossando abiti civili per gettare le basi per la guerra. Una strategia che ricorda il 2014, quando il Cremlino schierò mercenari per sostenere l’azione dei combattenti ribelli nell’Ucraina orientale. Secondo il “Times” invece i mercenari russi sarebbero entrati in Ucraina con l’obiettivo di eliminare il presidente Volodymyr Zelensky.
I veri obiettivi dei mercenari non sono tuttavia certi.
Si sa che questi uomini sarebbero arrivati dalla Libia e da altri paesi africani tra la fine di dicembre e l’inizio di gennaio: la loro presenza è confermata da messaggi criptici sui social media da account associati ad uno dei più potenti gruppi mercenari russi. “Sono molto bravi a tracciare la resistenza. Ma dubito che parteciperanno a combattimenti diretti”, ha riportato di loro The Independent.
Dall’altra parte della barricata, in un discorso videoregistrato, il presidente ucraino Zelensky ha parlato del bisogno di “aggiungere rapidamente ulteriore personale all’esercito ucraino e ad altre formazioni militari”. Alcuni pensano che il riferimento è alla cosiddetta riserva operativa, che viene attivata durante le ostilità e copre “un periodo di tempo speciale”. Dal canto suo il ministro degli Esteri ucraino Dimytro Kuleba, in un’intervista a Fox News ha detto di aver ricevuto impegno dall’amministrazione Biden che all’Ucraina sarebbero stati forniti “ulteriori aiuti letali”, ma si è rifiutato di fornire dettagli.
Da una parte e dall’altra si starebbero schierando mercenari.
I tempi in cui le guerre venivano combattute solo da eroi pronti a morire per salvare la “patria” appartengono ad un passato che non esiste più. Oggi il ricorso a gruppi di professionisti ai quali vengono appaltati i lavori “sporchi” in cambio di denaro e immunità è una consuetudine.
Anche nei tempi antichi il ricorso a soldati “in vendita” non era inusuale: nella sua Anabasi, Senofonte parla dei “Diecimila” mercenari greci assoldati da Ciro il Giovane per strappare il trono di Persia al fratello Artaserse II. A cambiare forse è stato il modo in cui oggi si fa largo uso di mercenari. Oggi si preferisce chiamarli contractors, forse nel tentativo di cancellare quell’alone negativo che da sempre si lega a chi combatte e uccide per denaro. Gruppi super addestrati che svolgono ruoli “strategici” in diverse parti del pianeta. Nel 2006 in Iraq pare siano stati migliaia i mercenari alle dipendenze del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti. L’allora segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Donald Rumsfeld, giustificò questa scelta dicendo che erano convenienti e utili sul campo. Ma soprattutto, come lui stesso ammise, non soggetti al Codice di giustizia militare. Infatti nessuno poté far molto quando scoppiò lo scandalo “appaltatori” accusati del 36 percento degli abusi e torture nella prigione di Abu Ghraib in Iraq.
Il ricorso abituale a forze armate a pagamento è alla base della scelta di molti paesi (tra i quali Stati Uniti, Francia, Germania e Regno Unito e molti altri paesi Ue) di non sottoscrivere la Convenzione delle Nazioni Unite sui mercenari del 1989, che ne vieta esplicitamente l’uso.
Nel 2007 le Nazioni Unite pubblicarono uno studio dal quale emergeva che, anche quando erano assunti come “guardie di sicurezza”, in realtà i contraenti privati svolgevano compiti militari. Due anni dopo, nel 2009, il Congressional Research Service statunitense annunciò il dispiegamento di decine di migliaia di soldati in Afghanistan dicendo che avrebbero potuto “essere accompagnati da un contingente di 26-56mila appaltatori”, altro termine eufemistico per indicare i mercenari. La Russia non è stata da meno: ad esempio nel 2014 in Crimea, durante l’annessione della penisola alla Russia.
Mercenari sarebbero stati usati anche in Libia e nel Mali. Qui il primo ministro del Mali, Choguel Kokalla Maïga, in un discorso all’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha dichiarato che “La nuova situazione derivante dalla fine dell’operazione Barkhane mette il Mali davanti al fatto compiuto, abbandonandoci in un certo senso a metà strada, e ci porta a esplorare percorsi e mezzi per garantire meglio la nostra sicurezza in modo autonomo, o con altri partner”. Anche in Medio Oriente non sono rari i casi. Secondo alcune fonti, molti si troverebbero in Kurdistan Irq., un paradiso grazie alle compagnie petrolifere che li utilizzano per difendere i giacimenti petroliferi. La capitale del Kurdistan Irq., Erbil, pare essere diventata un mercato non ufficiale di servizi mercenari. Gli Emirati Arabi Uniti avrebbero utilizzato mercenari delle forze speciali per combattere gli Houthi nello Yemen. E secondo alcune fonti non confermate, mercenari africani provenienti da paesi come Sudan, Ciad ed Eritrea starebbero combattendo nello Yemen assoldati dall’Arabia Saudita.
Contractor sarebbero attivi anche nella Repubblica Centrafricana e in Sudan. Secondo Sergey Sukhankin, analista dell’International Centre for Policy Studies di Kiev e della Jamestown Foundation, questi uomini sono impegnati per proteggere le miniere di diamanti e di metalli preziosi, oleodotti e impianti petroliferi in Siria.
Le milizie private sono ormai un grande business di portata globale. Anche i terroristi assumono mercenari. Un gruppo con sede in Uzbekistan pare lavori principalmente con estremisti jihadisti svolgendo funzioni di addestramento, traffico d’armi o corpi d’élite per missioni speciali.
Perfino alcune organizzazioni non governative (ONG) si rivolgerebbero al settore privato per proteggere il proprio personale in missione nelle zone di conflitto.
I mercenari sono anche sul mare: le compagnie di navigazione internazionali li assumono per proteggere le loro navi che viaggiano attraverso le acque dei pirati nel Golfo di Aden, nello Stretto di Malacca e nel Golfo di Guinea.
E persino nel cyberspazio. Qui vengono chiamati hackback: attaccano gli hacker o “hackerano” coloro che attaccano le reti dei clienti. Servono come deterrenti: un hacker preferisce colpire obiettivi più facili o società senza hackback alle spalle. Si tratta di forme di “difesa attiva” illegali in molti paesi, compresi gli Stati Uniti, ma secondo alcuni capaci di arrivare dove neanche la National Security Agency riesce, come è avvenuto con l’attacco ransomware WannaCry del maggio 2017 che ha infettato più di 230mila computer in 150 paesi.
Il ricorso ai mercenari cresce a ritmi impressionanti. Delle cinque “aree” di conflitto possibili, terra, mare, aria, spazio e cyber, in meno di 20 anni, i mercenari le hanno occupate quasi tutte (manca lo spazio, ma anche questo potrebbe cambiare: lo spazio è già privatizzato con aziende come SpaceX, ed è possibile che satelliti armati privati possano a breve orbitare attorno alla Terra).
Oggi i mercenari non sono più in paesi lontani, nascosti di guerre di cui si sa poco: sono ovunque. L’uso di militari “a contratto” è il nuovo modo di fare la guerra. Dove le forze (armate) vengono comprate e vendute come qualsiasi altra merce. Questo ha aperto i confini a nuovi scenari: cosa accadrebbe se i super-ricchi diventassero superpotenze non solo dal punto di vista industriale o finanziario, ma come forza militare? Il rischio è vedere scoppiare guerre senza stati. Oggi anche le multinazionali assumono mercenari. Aziende che lavorano in luoghi pericolosi o in paesi dove sono in corso conflitti armati.
Gli “appaltatori privati” sono il nuovo business globale. E nessuno sa quanti soldi girino intorno a questo mercato illecito in piena espansione. Un mercato che fa affari anche nella guerra in corso in Ucraina.

(Foto: Depositphotos).