di Giuseppe Gagliano –
Il Messico, teatro di una violenza dilagante da parte dei cartelli della droga, ha assistito a un evento senza precedenti: l’arresto di oltre 100 agenti di polizia accusati di collaborazione con la criminalità organizzata e sparizioni forzate. Questa operazione, divisa tra gli Stati del Chiapas e Veracruz, rappresenta un segnale forte della nuova leadership politica a livello locale, ma anche un’ammissione implicita della profonda infiltrazione criminale nelle istituzioni.
Nel Chiapas, il governatore appena insediato, Eduardo Ramirez Aguilar, ha dichiarato guerra aperta ai cartelli con la creazione del FRIP (Fuerza de Reacción Inmediata Pakal), un gruppo d’élite di sicurezza. Tuttavia, il problema non è tanto militare quanto politico. L’arresto di 92 agenti a Comitan, dopo che questi hanno attivamente ostacolato operazioni antidroga, dimostra che la criminalità organizzata non si limita a corrompere le istituzioni: le controlla.
La nuova strategia di Ramirez Aguilar, che promette di restituire “la pace alle strade”, potrebbe sembrare un gesto simbolico volto a guadagnare consensi nei primi giorni di mandato. Tuttavia, l’arresto di agenti e il dispiegamento massiccio del FRIP indicano una determinazione più concreta rispetto ai suoi predecessori. Ciò nonostante, senza un serio intervento a livello federale e senza affrontare le cause strutturali che permettono ai cartelli di prosperare – disuguaglianza economica, corruzione e debolezza istituzionale – queste azioni rischiano di rimanere episodiche e, alla lunga, inefficaci.
Il Chiapas, situato lungo il confine con il Guatemala, è una delle regioni più povere e meno governate del Messico. La sua vulnerabilità ha permesso ai cartelli di trasformarlo in un corridoio strategico per il traffico di droga, armi e migranti. La mancanza di un controllo statale solido lo rende un simbolo del fallimento di una politica di sicurezza nazionale frammentata e incoerente.
L’arresto degli agenti a Veracruz, accusati di sparizioni forzate, sottolinea un altro aspetto critico: il legame sempre più stretto tra criminalità organizzata e apparati statali. Questo fenomeno mina la fiducia dei cittadini nelle istituzioni, aggravando la percezione di insicurezza e alimentando un circolo vizioso di violenza e corruzione.
Politicamente, la sfida di Ramirez Aguilar è complessa: mentre i suoi interventi gli garantiscono una visibilità immediata, la sostenibilità a lungo termine dipenderà dalla capacità del governo federale di supportare le sue azioni con politiche sistematiche. La questione centrale resta la stessa: il Messico è disposto a riformare davvero le sue istituzioni e a investire nel rafforzamento dello stato di diritto, o continuerà a combattere la criminalità organizzata solo con operazioni di facciata?
L’arresto di massa segna un importante precedente, ma il suo valore politico è ancora incerto. Se da un lato rafforza l’immagine del governatore, dall’altro espone le fragilità dello stato messicano nel suo complesso. La criminalità organizzata ha dimostrato di essere più flessibile e resiliente rispetto alla macchina statale. Senza un piano complessivo che includa riforme economiche e un’effettiva depoliticizzazione delle forze di sicurezza, queste operazioni rischiano di diventare solo un altro capitolo di una guerra senza fine.
In definitiva l’arresto degli agenti di polizia non è solo una questione di sicurezza, ma un banco di prova per la credibilità delle istituzioni messicane. Il risultato di questa vicenda avrà ripercussioni non solo sulla stabilità del Chiapas, ma sull’intero panorama politico e sociale del Messico.