di Giuseppe Gagliano –
Un trionfo della cooperazione o un’illusione statistica? Secondo i governi di Messico e Stati Uniti, gli attraversamenti illegali lungo il confine comune sarebbero diminuiti del 97%. Un dato clamoroso, celebrato dal Ministero della Difesa messicano e basato su numeri forniti dal Dipartimento della Sicurezza Interna (DHS) statunitense. Ma dietro il proclama si cela molto di più: uno scenario in cui la frontiera diventa il banco di prova per una nuova convergenza militare, mentre la questione migratoria si intreccia sempre più con la sicurezza interna e le tensioni politiche tra i due Paesi.
L’annuncio giunge al termine di una videoconferenza tra il generale Ricardo Trevilla, ministro della Difesa messicano, e il comandante del Northern Command statunitense, Gregory Guillot. I due alti ufficiali si sono congratulati per i successi ottenuti grazie all’aumento del coordinamento tra forze armate e agenzie civili. Il generale Trevilla ha evidenziato anche un +59% nei sequestri di munizioni e componenti d’arma, mentre il traffico di droga resta elevato: 20.000 libbre di sostanze illecite sequestrate in 90 giorni, tra cui fentanyl, eroina e metanfetamine. Tuttavia, i sequestri di fentanyl risultano in netto calo (-70%), così come l’intercettazione complessiva di stupefacenti (-45%).
Un risultato apparentemente positivo, ma che solleva dubbi su ciò che non viene detto: quali rotte alternative stanno emergendo? Quali spostamenti nelle dinamiche del narcotraffico sono in corso, al di là dei confini controllati?
Sul piano politico-diplomatico, la situazione è tutt’altro che lineare. La presidente messicana Claudia Sheinbaum ha inviato una nota diplomatica agli Stati Uniti dopo che Donald Trump ha annunciato la costruzione di una nuova base militare statunitense lungo la frontiera. Pur precisando che la struttura sorgerebbe in territorio americano, Sheinbaum ha espresso preoccupazione formale per un’iniziativa che rischia di turbare l’equilibrio già fragile della cooperazione bilaterale.
Trump da parte sua, ha rincarato la dose: in un’intervista a Fox News ha affermato che il governo messicano sarebbe “molto spaventato” dai cartelli del narcotraffico, che a suo dire controllerebbero almeno il 40% del territorio nazionale. Ha poi lodato Sheinbaum, definendola “una bravissima donna”, ma ha insistito su una linea di durezza crescente: rafforzamento del confine, riduzione delle entrate dei cartelli e programmi di espulsione incentivata per i migranti irregolari.
Finora il governo messicano non ha replicato ufficialmente. Ma il quadro è eloquente: mentre si celebra una riduzione degli attraversamenti illegali, si approfondisce una logica di militarizzazione della cooperazione, dove i confini diventano trincee, le diplomazie si scontrano a colpi di dichiarazioni mediatiche, e la gestione della migrazione si fonde con le strategie di sicurezza.
Il rischio? Che dietro la “collaborazione virtuosa” si nasconda una dinamica asimmetrica in cui il Messico, stretto tra le pressioni del vicino del nord e l’erosione della propria sovranità, finisca per cedere pezzi di autonomia in nome di una lotta al crimine che, nella realtà, non ha mai avuto confini netti.