Militari italiani in Lettonia? Forse ci serviranno in Libia…

di Marco Pugliese –

Soldati italiani grandeLa Nato decide di procedere a livello strategico: applicare la deterrenza ai confronti della Russia. In quale teatro? Il Baltico. Alla Nato si teme molto l’espansionismo russo, Crimea ed Ucraina sono ancora sul piatto, la Lettonia potrebbe finirci. Riga infatti è molto preoccupata per le mosse del presidente russo Vladimir Putin e negli ultimi due anni ha spesso “battuto i pugni sul tavolo” dell’Alleanza Atlantica.
Gli occidentali però hanno costruito una “melina aerea” nei cieli Baltici, impegnando non poco le forze russe.
Mosca gioca alla super potenza o è tornata ad esserlo? Gli analisti Nato credono sia a metà strada. I lettoni in via teorica non dovrebbero preoccuparsi, lo scudo Ue-Nato non dovrebbe produrre crisi. Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov però conosce perfettamente gli occidentali e nell’ultimo periodo infatti ha piazzato due “colpi”: il primo in Siria con l’intervento di Cina ed India (Brics) al fianco di Mosca ed il secondo a livello militare, esercitazioni e puntamento di missili, oltre ad una serie di dichiarazioni pepate nei confronti degli europei.
L’Europa è divisa e Lavrov lo sa: ogni stato guarda ai propri interessi nazionali, l’Italia ne ha di enormi in Russia, di fatto per l’economia italiana Mosca è una manna, Berlino una condanna.
Motivo per cui l’Italia contribuisce allo “scudo” Nato il meno possibile, 140 militari e la solita “melina aerea”. Roma gioca alla deterrenza confidando nella non azione russa e viceversa Mosca preferisce gli arei italiani alla Raf, meno propensi “agli errori”. L’ Italia della Nato è un fondatore ed un finanziatore (il terzo), difficile star con le mani in mano; il ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni e la collega alla Difesa Roberta Pintotti hanno puntato al massimo con il minimo.
Il clamore di queste ore è quasi ingiustificato, allo spostamento di missili russi la Nato risponde con un dispiegamento di uomini e mezzi sì, ma fra due anni, per cui il messaggio è abbastanza chiaro: ci siamo, vi osserviamo ma vi capiamo, nessuno in Europa vuol rimetterci la faccia, ma nemmeno le vite degli uomini.
In questo cuneo d’intervento, quasi passivo, ci sono i lettoni, visceralmente contro tutto ciò che è russo. La Nato rischierà la pace per Riga? Meglio uno spostamento strategico di deterrenza con truppe ed armi non nucleari. I silos dei missili nucleari Nato non sono in fermento, le rilevazioni satellitari invece dimostrano che quelli russi sono in movimento, ma come logica strategica richiede. Mosca e Nato si specchiano, si muovono ma si evitano, anche in Siria (lì più che Nato gli Usa, ma non siamo distanti). In tutto questo i 140 militari italiani cosa rappresentano? In realtà che ci siamo anche noi (anche se di fatto eravamo già lì con l’Aeronautica) schierati a scudo, ma è quasi un pro forma, un atto dovuto. Berlino infatti avrebbe voluto più impegno italiano, i russi si sarebbero irritati e forse avrebbe rivolto i propri affari verso la Germania.
Nel luglio 2016 alla seduta Nato si è parlato di Afghanistan, l’Italia da qui al 2020 farà e darà di più (insieme ai turchi) per disimpegnare gli Usa. Nel frattempo in Libia si richiede da più parti l’impegno italiano. Francia, Gran Bretagna ed Usa si stanno sganciando ma la questione è complicata: servono dai 60 ai 90mila militari, copertura aerea, marina attiva e una missione che definire complicata è riduttivo.
La risoluzione del 2015 che in pochi ricordano ci segna di fatto la strada: presidio dei porti, confini blindati e recupero totale delle infrastrutture del paese. La Russia, che nel frattempo si amplia nel Mediterraneo con basi in Siria e uomini in Egitto, non disdegnerebbe eventuali avamposti italiani in Libia. Gli italiani non sono americani e una Libia finalmente pacificata darebbe il via alla completa riconquista della Siria e parte dell’Iraq. I confini sarebbero ridisegnati, la Libia diventerebbe uno stato federale o si dividerebbe in Tripolitania e Cirenaica, l’Egitto avrebbe un ruolo di potenza regionale, la Siria tornerebbe a Bashar al-Assad e l’Iraq probabilmente sarebbe ridotto per dar spazio ad uno stato curdo. Questo modello non spiacerebbe ad Arabia Saudita, Qatar ed Iran, metterebbe fine forse alle continue diatribe tribali che hanno diviso il mondo arabo. Rimarrebbe la grave situazione dell’Africa Occidentale, territorio da cui arrivano i maggiori flussi migratori che non avrebbero più sbocchi sul Mediterraneo. Un quadro complessissimo, una scacchiera che può mutare d’ora in ora e che paradossalmente dipende, in parte, da quanto la Nato vorrà “investire in Lettonia”.
In Italia invece ogni questione diventa buona per occuparsi di teatri secondari, Riga ad esempio. I dibatti riguardanti i 140 militari sono avulsi dalla strategia macro. Il nostro paese che fino ad ora si è mosso con cautela deve scegliere: occuparsi di Libia o tirarsi fuori dal discorso (accettando però ciò che poi imporranno altri). Il premier italiano Matteo Renzi sa che il fronte interno non gli perdonerebbe una missione militare in Libia, fronte interno che già s’innervosisce per 140 militi. D’altro canto però il governo italiano ha capito che l’Europa in tema profughi non ha piani macro reali, per quanto ancora l’opinione pubblica italiana non esploderà del tutto sul tema profughi? Per quanto la nostra marina dovrà, a tappeto, pattugliare il Mediterraneo recuperando naufraghi? Per quanto Roma riuscirà a gestire i flussi migratori senza troppi intoppi? In realtà una strategia d’uscita certa non è presente, esiste però un punto di non ritorno rappresentato dal cambio di scenario: dal 2018 il teatro principe sarà il Pacifico e quindi Russia ed Usa (e Cina) vogliono, anzi esigono, chiudere la partita mediterranea. In questo brevissimo lasso di tempo qualsiasi governo italiano incarica dovrà prendere delle decisioni precise, definitive, di sganciamento o coinvolgimento, ma prenderle. Riga è in realtà una chiave di volta, all’ Italia la prossima mossa.