Muri

di C. Alessandro Mauceri

Il 9 novembre è una data importante: 33 anni fa venne abbattuto “il” muro (die Mauer) che separava Berlino Est da Berlino Ovest. Una barriera che ha segnato 38 anni di storia. Da quando, in piena notte, il 13 agosto del 1961, venne alzata una cortina di filo di ferro per impedire ai cittadini di circolare liberamente. Il giorno in cui il muro venne abbattuto fu un momento speciale: venne chiamato il “giorno della libertà”. Un evento storico di cui i media parlarono a lungo: le televisioni mostrarono le immagini degli abitanti delle due metà di Berlino che scalavano il muro per abbracciarsi di nuovo mentre. Altri cercavano di abbatterlo a colpi di piccone o addirittura a mani nude, magari per portarne via un pezzo, un ricordo per non dimenticare il periodo cupo che il “muro” aveva rappresentato. Un’epoca “fredda” fatta di divisioni, spionaggi e conflitti che molti sperarono essere finiti per sempre.

Ma la “Guerra Fredda” non è mai davvero finita. Neanche dopo la firma dell’accordo tra i presidenti Reagan e Gorbaciov. Quanto sta accadendo lo dimostra.

E negli ultimi decenni di muri ne sono stati costruiti tantissimi. Tra Arabia Saudita e Yemen ce n’è uno lungo 1.800 chilometri, costruito nel 2013, ufficialmente per impedire infiltrazioni terroristiche. Pochi anni prima, sempre in Medio Oriente, tra Iran e Pakistan ne era stato costruito un altro, lungo 700 chilometri, ufficialmente per proteggere il confine dalle infiltrazioni dei trafficanti e dei gruppi armati sunniti. Alla fine della guerra del Golfo, anche in Kuwait ne venne costruito uno per limitare il rischio di una nuova invasione da parte dell’Iraq.

Recentemente la scusa addotta dai governi per costruire questi muri è cambiata: dovrebbero servire a impedire l’invasione non di eserciti ma di migranti. In Marocco, a Ceuta e Melilla, ne sono stati costruiti due (lunghi rispettivamente 8 e 12 chilometri). Lo stesso è stato fatto a Cipro, per separare la zona greca dalla zona turca. E poi in Bulgaria, dove nel 2014 è stato costruito un muro lungo 30 chilometri per limitare i flussi migratori provenienti da est, dalla Turchia. Alcuni di questi muri sono diventati famosi. Come quello tra Stati Uniti d’America e Messico, il muro di Tijuana, costruito nel 1994 per bloccare i migranti “irregolari” provenienti dal Sud America. Questo muro è diventato oggetto di dispute politiche tra Trump (che ha speso una fortuna per “rinforzarlo”) e il Congresso. E prima ancora tra Trump e Biden durante la corsa alle scorse presidenziali, salvo poi fare entrambi la stessa cosa.

Ci sono muri tra Israele ed Egitto e tra Israele e Palestina. Tra Zimbabwe e Botswana. Tra Corea del Nord e Corea del Sud. Tra Marocco e Sahara occidentale. E tra India e Pakistan: qui la “line of control” lunga 550 chilometri spacca la regione del Kashmir in due parti (una sotto il controllo indiano, l’altra sotto il controllo pachistano). Ma anche tra India e Bangladesh: ancora una volta, ufficialmente per fermare il flusso di immigrati provenienti dal Bangladesh (ma anche per bloccare traffici illegali e le infiltrazioni terroristiche). E molti, molti altri muri.

Oggi non si parla d’altro che di Ucraina e della guerra con la Russia. Ma anche tra Russia e Ucraina sono stati alzati dei muri. Nel 2014, durante il conflitto per l’annessione della Crimea, per difendersi dalla Russia il governo ucraino svelò il proprio piano per la costruzione di un sistema di mura difensive, denominato “Progetto Muro”. Un’idea, come molti altri muri (si pensi a quelli tra USA e Messico), dal costo esorbitante, circa 520 milioni di dollari. Nel 2015, vennero avviati i lavori per la costruzione. Poi, resesi conto (anche in questo caso, non è una novità) che queste barriere fisiche non servivano a molto, nel 2018, le autorità ucraine decisero di introdurre “altri” muri. Ma questa volta “virtuali”: i russi che entravano nel paese vennero sottoposti a controlli biometrici. Inoltre, il 22 marzo 2018, il Presidente ucraino Petro Poroshenko firmò un decreto che imponeva ai cittadini russi di comunicare in anticipo alle autorità ucraine le ragioni del proprio viaggio in Ucraina e, il 7 novembre dello stesso anno, venne modificato il Codice Penale ucraino. Venne reso punibile con la reclusione fino a tre anni l’attraversamento illegale della frontiera con l’Ucraina “per danneggiare l’interesse del paese”. Poi, lo scorso anno, nel 2021, l’Ucraina ha deciso di fare marcia indietro e ha annunciato l’intenzione di voler costruire una barriera di 2.500 chilometri lungo i confini con la Russia e con Bielorussia (ufficialmente per provare a fermare l’afflusso di migranti illegali). “Costruire una recinzione, una rete e filo spinato, con copertura totale da parte di sistemi di sorveglianza e allarme, lungo tutto il confine, è la decisione più razionale”, dichiarò il ministro dell’Interno, Denys Monastursky, in un discorso al Parlamento ucraino. Oltre a costruire il muro il piano del governo ucraino era di scavare un fossato largo 4 metri e profondo 2 in alcune parti del confine con Russia e Bielorussia. Ancora una volta opere faraoniche discutibili non solo dal punto di vista economico ma soprattutto dei diritti umani. E dell’efficacia.
Già prima della costruzione del muro di Berlino, le barriere fisiche non sono mai riuscite a bloccare i flussi migratori. Che fossero di eserciti o di migranti o di profughi e rifugiati, poco importa.
Migrare fa parte della natura stessa dell’uomo. Secondo uno studio condotto da Axel Timmermann e Tobias Friedrich dell’università’ delle Hawaii a Manoa, (pubblicate sulla rivista Nature), le prime migrazioni documentate dell’homo sapiens risalirebbero addirittura ad un periodo tra 106 e 94 mila anni fa. Ne seguirono altre (tre “grandi eventi”, di cui l’ultima si sarebbe verificata tra 45 e 29 mila anni fa). Allora, i “muri” erano la mancanza di mezzi e la difficoltà di superare ostacoli naturali. Questo non è bastato a fermare i migranti che, da allora, sono diventati sempre più numerosi (le stime parlano di un miliardo di migranti entro la fine del XXI secolo). Anche le motivazioni non sono cambiate molto: allora come ora, chi lascia la propria casa lo fa per sopravvivere. E questa è una motivazioni ben più forte dei muri che oggi, in molti paesi del mondo, i governi si ostinano a erigere.
Oggi del muro di Berlino di non restano che poche tracce (sei punti in varie zone di Berlino). Ricordi che servono solo ai turisti per farvi visita e scattare qualche foto. In compenso, sono tantissimi gli artisti di strada che con i loro graffiti hanno contribuito a rendere questi “ricordi”, questi strumenti di esclusione, un monumento alla libertà.

Una libertà che tutti i paesi del mondo hanno sottoscritto e ratificato inserendo tra le proprie leggi la Dichiarazione dei diritti dell’Uomo approvata dalle Nazioni Unite durante la sua 183a riunione plenaria, a dicembre del 1948. Questo documento, all’articolo 13, afferma che “Ogni individuo ha diritto alla libertà di circolazione e di soggiorno entro i confini di ciascuno Stato. Ogni individuo ha il diritto di lasciare qualsiasi paese, compreso il proprio, e di tornare nel proprio paese”.

Parole che oggi molti governi, sembrano non aver mai letto. Parole che dovrebbero fare riflettere tanti sul diritto a migrare e sulle conseguenze che derivano dal voler chiudere le frontiere. Parole che i capi di stato dovrebbero leggere prima di continuare a costruire muri.