di Giuseppe Gagliano –
Nel silenzio delle orbite, lontano dai riflettori mediatici e ancor più dal dibattito politico europeo, si sta giocando una partita che potrebbe riscrivere le regole del confronto globale. Il segretario generale della NATO, Mark Rutte, ha recentemente sollevato l’allarme: la Russia starebbe valutando il dispiegamento di armi nucleari nello spazio. Un’ipotesi che, se confermata, violerebbe il Trattato sullo Spazio Extra-Atmosferico del 1967, ma soprattutto inaugurerebbe un nuovo e pericoloso fronte della deterrenza strategica.
Il problema però non è soltanto la mossa russa. È il contesto. Da anni ormai lo spazio è diventato terreno di competizione militare, come già lo sono cyberspazio, Artico e rotte oceaniche. Le potenze si armano in orbita e investono in satelliti agili, blindati, pronti per lo scontro. Ma ciò che sorprende – o forse no – è la reazione atlantica: indignazione di facciata, ma nessun serio confronto sui propri progetti di militarizzazione celeste.
La NATO, che oggi si scopre custode della legalità internazionale, ha infatti integrato lo spazio tra i propri ambiti di difesa già da anni. Ha lanciato nuovi comandi spaziali nazionali, implementato la sorveglianza sull’Artico e ribadito che l’Articolo 5 può essere invocato anche in caso di attacchi dallo spazio. Ma ciò che è legittimo per l’Alleanza, diventa “provocazione” se ad agire è Mosca. Due pesi e due misure, in linea con una narrativa ormai consolidata.
Mark Rutte accusa la Russia di voler colmare il proprio gap tecnologico con il dispiegamento di testate in orbita. Può darsi. Ma la vera domanda è: chi ha spinto il confronto strategico a queste altitudini? Chi ha trasformato lo spazio in estensione del potere terrestre, facendone un campo d’azione militare a tutti gli effetti?
Il Trattato del 1967 proibisce le armi di distruzione di massa nello spazio, ma nulla vieta la presenza di apparati offensivi convenzionali, strumenti di sabotaggio cibernetico o droni orbitanti. È in questo vuoto normativo che si muovono le potenze, Stati Uniti in testa, che proprio grazie alla superiorità spaziale controllano comunicazioni, sistemi bancari, infrastrutture civili e logistiche militari.
E qui la Russia reagisce, come ha già fatto in Ucraina o in Siria: non da egemone, ma da potenza in declino che non può permettersi la paralisi strategica. L’ipotesi dell’arma nucleare nello spazio non è una svolta, ma il segnale che Mosca intende far saltare il tavolo dell’asimmetria, giocandosi la carta dell’imprevedibilità.
La NATO da parte sua preferisce investire in retorica: denuncia la minaccia, ma continua a militarizzare l’Artico e moltiplicare i satelliti per la sorveglianza globale. Lo spazio, sempre più affollato e opaco, diventa la nuova linea del fronte. Dove l’equilibrio si regge non più sul diritto, ma sulla deterrenza.
E l’Europa? Assente, ancora una volta. Mentre Washington e Mosca si sfidano a colpi di orbite, il Vecchio Continente rinuncia a una strategia autonoma, si allinea alle narrative atlantiche e dimentica che la guerra fredda tecnologica passa anche, e soprattutto, per il cielo.