di Giuseppe Gagliano –
L’amministrazione Biden ha avviato un’indagine sulle violazioni dei diritti umani in Nicaragua, fatto che segna un nuovo capitolo nelle relazioni, già tese, tra Washington e il governo di Daniel Ortega. Dietro l’apparente intento di promuovere la democrazia e la giustizia, si nascondono complessi intrecci di interessi economici e geopolitici, che rendono la situazione più intricata di quanto appaia.
L’indagine aperta dal Rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti mette sotto la lente una serie di accuse contro il governo di Ortega, tra cui arresti arbitrari, lavoro forzato e traffico di esseri umani. Sebbene tali accuse siano gravi e supportate da testimonianze e rapporti, è evidente che l’intervento americano non si limita alla questione dei diritti umani.
La mossa arriva in un momento in cui il Nicaragua, tradizionalmente influenzato dagli Stati Uniti, si è avvicinato sempre più a partner come la Cina e la Russia. La strategia di Ortega, che ha rafforzato i legami economici e militari con Pechino e Mosca, rappresenta una sfida diretta all’egemonia americana nella regione. Non sorprende, quindi, che Washington utilizzi il tema dei diritti umani come strumento per esercitare pressione su Managua.
Il Nicaragua è membro dell’Accordo di Libero Scambio dell’America Centrale (CAFTA-DR), che lega i Paesi della regione agli Stati Uniti attraverso relazioni economiche privilegiate. Con un surplus commerciale di 3 miliardi di dollari verso Washington, il Nicaragua ha molto da perdere in caso di ritorsioni economiche. Tuttavia, anche gli Stati Uniti rischiano di indebolire la loro influenza nella regione qualora decidessero di penalizzare Managua, aprendo ulteriormente la strada a potenze rivali.
Le sanzioni economiche, benché ipotizzate, rappresentano un’arma a doppio taglio. Da un lato, potrebbero danneggiare il governo di Ortega; dall’altro, rischiano di colpire la popolazione nicaraguense, alimentando sentimenti anti-americani e spingendo il Paese verso un isolamento che rafforzerebbe i legami con Cina e Russia.
Ortega e sua moglie, Rosario Murillo, hanno consolidato il potere attraverso una serie di riforme costituzionali e legislative che rafforzano il controllo sul sistema giudiziario, le forze armate e la polizia. La recente modifica al Codice militare, che consente alla coppia presidenziale di prorogare indefinitamente i mandati dei vertici delle forze armate, evidenzia un modello di governance sempre più autoritario.
Questo approccio, pur essendo ampiamente criticato dalla comunità internazionale, garantisce a Ortega una stabilità interna necessaria per resistere alle pressioni esterne. La repressione delle proteste del 2018, documentata da ONG come il Colectivo de Derechos Humanos Nicaragua Nunca Más, dimostra come il governo sia disposto a utilizzare qualsiasi mezzo per mantenere il controllo. Tuttavia, questa politica repressiva ha un costo: l’isolamento internazionale e una crescente instabilità economica.
La scelta degli Stati Uniti di puntare il dito contro il Nicaragua per violazioni dei diritti umani solleva interrogativi sulla coerenza della politica estera americana. Mentre Washington denuncia Ortega, mantiene rapporti economici e militari con altri governi della regione, altrettanto autoritari ma geopoliticamente allineati agli interessi statunitensi.
Questa doppia morale mina la credibilità degli Stati Uniti e rafforza la narrativa anti-americana utilizzata da Ortega per giustificare le sue azioni repressive. Per il governo nicaraguense, infatti, l’indagine americana è l’ennesimo tentativo di ingerenza, che viene presentato alla popolazione come un attacco alla sovranità nazionale.
Il confronto tra Nicaragua e Stati Uniti è più che una questione di diritti umani. È uno scontro tra modelli di governance, interessi economici e influenze geopolitiche in un’America Latina sempre più frammentata. Washington si trova di fronte a una scelta difficile: punire Ortega rischiando di perdere ulteriormente il controllo sulla regione, oppure mantenere il dialogo e accettare, almeno in parte, la sua autonomia.
La realtà è che nessuna delle due opzioni garantisce un risultato immediato o definitivo. In questo scenario, il Nicaragua rimane un terreno di scontro simbolico tra le vecchie dinamiche imperialiste e i nuovi equilibri multipolari.