Nicaragua. Rotti i rapporti con la Corte di Giustizia Centroamericana

di Giuseppe Gagliano –

Il recente annuncio del governo del Nicaragua di abbandonare la Corte di Giustizia Centroamericana (CCJ) si inserisce in un quadro più ampio di progressivo isolamento regionale e internazionale. La decisione, resa ufficiale il 19 marzo dal ministro degli Esteri Valdrack Jaentschke, non è un atto isolato, bensì l’ultimo tassello di una strategia che il regime sandinista sta perseguendo da anni. Per comprendere il significato geopolitico e giuridico di questa scelta, è necessario analizzare le motivazioni ufficiali fornite da Managua e le possibili ripercussioni nell’assetto regionale centroamericano.
Secondo la comunicazione inviata alla Corte, il governo di Daniel Ortega accusa l’istituzione di aver deviato dalla sua missione originaria e di essere ormai soggetta alle decisioni del Consiglio giudiziario centroamericano e caraibico, un organismo che non fa parte del Sistema di Integrazione Centroamericana (SICA). In questa prospettiva, il Nicaragua denuncia la perdita di autonomia della CCJ e la sua trasformazione in uno strumento di ingerenza politica piuttosto che in un tribunale imparziale di garanzia giuridica.
Un altro punto centrale delle critiche di Managua è la composizione della Corte. Secondo il governo sandinista, il fatto che la CCJ sia formata esclusivamente da giudici di Nicaragua, Honduras ed El Salvador mina la sua legittimità e rappresentatività. L’assenza di Paesi membri del SICA come Belize, Guatemala, Panama e Repubblica Dominicana viene vista come un elemento di squilibrio strutturale che impedisce una reale integrazione regionale basata sull’uguaglianza tra gli Stati.
L’uscita dalla CCJ si inserisce in una dinamica più ampia che ha visto il Nicaragua abbandonare altre organizzazioni internazionali negli ultimi anni. Il caso più recente è il ritiro dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), motivato da accuse simili di ingerenza e parzialità. Questa progressiva ritirata dalle istituzioni multilaterali sembra una strategia deliberata per sottrarsi a forme di supervisione giuridica internazionale e per rafforzare il controllo interno sul Paese senza rischi di condanne ufficiali.
Da un punto di vista geopolitico, questa scelta rafforza l’immagine del Nicaragua come uno Stato sempre più isolato, teso a proteggere la propria sovranità nazionale da influenze esterne. Il governo Ortega ha sempre denunciato le organizzazioni multilaterali come strumenti di pressione politica utilizzati dai governi occidentali, in particolare dagli Stati Uniti. La CCJ, dunque, viene percepita non come un garante di equilibri regionali, ma come un potenziale ostacolo all’autonomia decisionale del regime.
L’uscita del Nicaragua dalla CCJ potrebbe indebolire ulteriormente la già fragile architettura giuridica del SICA, organismo che già fatica a garantire un’integrazione effettiva tra i Paesi membri. Senza la partecipazione di Managua, il meccanismo di risoluzione delle controversie regionali perde un attore chiave, rendendo più difficile la gestione di eventuali conflitti tra Stati dell’area.
Inoltre la decisione del governo sandinista rischia di accentuare le tensioni tra Nicaragua e altri Paesi centroamericani, soprattutto quelli più allineati con Washington. La percezione che Managua voglia sottrarsi alle regole condivise potrebbe spingere altri Stati a rafforzare le proprie relazioni con attori esterni alla regione, come gli Stati Uniti o l’Unione Europea, per contrastare l’influenza di Ortega e garantire una maggiore stabilità giuridica.
L’uscita del Nicaragua dalla Corte di Giustizia Centroamericana è una mossa che rafforza l’autonomia politica del governo di Ortega, ma allo stesso tempo lo isola sempre di più sulla scena internazionale. Se da un lato la decisione rappresenta una chiara volontà di sottrarsi a qualsiasi tipo di controllo esterno, dall’altro rischia di minare ulteriormente la credibilità del regime e di inasprire i rapporti con i partner regionali.
In definitiva, l’atto di rottura con la CCJ si inserisce perfettamente nella logica del governo sandinista: consolidare il controllo interno e ridurre le possibilità di interferenze esterne, anche al costo di un progressivo isolamento geopolitico e diplomatico. Resta da vedere se questa strategia porterà vantaggi o se, al contrario, contribuirà ad accelerare il declino del Nicaragua sulla scena internazionale.