Nigeria e Kenya: cosa c’è dietro agli attacchi alle chiese

di Enrico Oliari –

Le Citta – “L’educazione occidentale è peccato”, in lingua hausa “Boko Haram”: è questo il nome del gruppo legato alla jihad islamica che da diversi mesi sta seminando il terrore nel nord della Nigeria, compiendo rapimenti ed attentati efferati, fino ai massacri dei fedeli nelle chiese cristiane.
Fondato nel 2002 nella cittadina di Maiduguri da Ustaz Mohammed Yusuf , un religioso islamico, il Boko Haram si prefigge l’introduzione della sharia (legge islamica) nei territori del nord della Nigeria arrivando a fare della violenza il proprio strumento di lotta.
Dal 2010 il gruppo jihadista si è reso responsabile dell’assassinio di diversi politici, di attentati nei locali pubblici ed oggi delle eclatanti azioni contro i fedeli cristiani raccolti nelle chiese per le funzioni religiose, come nel caso della strage di Natale del 2011 a Madalla, in cui persero la vita 44 persone ed i fatti di sangue più recenti del 17 giugno, a Zaria e a Kaduma, dove gli attentatori hanno fatto scoppiare granate e sparato su donne, uomini e bambini riuniti in preghiera, uccidendo 50 fedeli.
“Il Boko Haram ha dichiarato guerra ai cristiani e al cristianesimo in Nigeria”, ha fatto sapere con un comunicato l’Associazione cristiana della Nigeria, ma è certo che ormai nel paese africano la situazione appare sempre più incontrollabile, tanto che, per un’immediata ritorsione, gli occupanti musulmani delle auto dirette verso la capitale sono stati fermati dai cristiani e linciati sul posto.
Nel marzo del 2011 una cellula secessionista del Boko Haram aveva sequestrato l’ingegnere italiano Franco Lamolinara, ucciso insieme al suo collega inglese Chris McManus con un colpo alla testa mentre stavano per essere liberati dalle teste di cuoio inglesi.
Sarebbe tuttavia un errore imputare i fatti di sangue e le tensioni che si stanno susseguendo in Nigeria esclusivamente ai dissidi interreligiosi: è vero che il paese è sostanzialmente diviso in due parti (nonostante gli oltre 250 gruppi etnici) e metà dei 160 milioni di abitanti è di fede cristiana, mentre l’altra metà crede nell’Islam; ed è pur vero che in diverse nazioni del continente è possibile assistere a forme di crescente radicalismo islamico. Tuttavia non bisogna tralasciare che il paese africano è un crocevia di interessi economici in cui ciascuno cerca di aggiudicarsi la propria parte. Specialmente la zona del Delta del Niger è ricchissima di petrolio e si calcola che nel sottosuolo del paese vi siano nascosti oltre 25 miliardi di barili di oro nero, senza contare gli imponenti giacimenti di gas e di metalli vari.
Chi controlla una determinata area, controlla le ingenti ricchezze su cui è appoggiata la Nigeria, sia esso lo Stato centrale, siano i miliziani del Movimento per l’emancipazione del Delta del Niger (impegnato contro lo sfruttamento del territorio da parte delle corporations internazionali e contro l’inquinamento da esse causato), siano, al nord i terroristi, del Boko Haram.
Tuttavia ne’ il controllo delle risorse ne’ le motivazioni addotte dai responsabili del gruppo jihadista (la profanazione di alcune moschee proprio a Kaduma) possono giustificare l’efferatezza degli attacchi alle chiese: bombe, granate e spari rivolti alla popolazione raccolta in preghiera o all’uscita delle funzioni religiose, gesti che, a ben guardare, sono in totale antitesi con gli stessi insegnamenti dell’Islam.
Domenica primo luglio è stata la volta del Kenya ed anche qui ad essere colpite sono state due chiese colme di fedeli, la cattedrale cattolica di Garissa e un tempio della Africa Inland Church (AIC), della stessa città: nel primo caso sono state lanciate granate, nel secondo spari, mentre, per fortuna, non è esplosa una bomba rinvenuta in seguito.
Anche in questo caso alla base delle terribili azioni di sangue commesse contro innocenti per di più resi vulnerabili dalla loro spiritualità vi sono più moventi e sarebbe sbagliato focalizzarsi esclusivamente sulle parole dello sceicco Hassan Takar, esponente del gruppo somalo di al-Shabaab, il quale ha dichiarato in una nota diffusa ai media che “i mujahedin hanno punito con le loro mani coloro che credono o professano altri dei che non siano Allah”.
E’ vero, al-Shabaab (“La Gioventù”) è un gruppo insurrezionalista somalo legato a filo doppio con al-Qaeda, sorto sulle ceneri delle sconfitte Corti islamiche ed ufficialmente impegnato nell’affermazione della sharia come legge universale; tuttavia è necessario analizzare il contesto in cui shabaabiti si inseriscono: essi controllano la parte meridionale del paese africano ed hanno la loro roccaforte a Chisimaio, acquistano armi dai trafficanti reperendo le risorse dai sequestri e dagli atti di pirateria nell’oceano Indiano.
La Somalia è uno dei paesi meno sviluppati della Terra e le rarissime opere pubbliche, come strade e canali di irrigazione, risalgono all’epoca coloniale italiana; il sottosuolo somalo, non sfruttato, è come una cassaforte che contiene di tutto: petrolio, uranio, rame, ferro, manganese, zinco, stagno, gesso, sale…
Nel paese del Corno d’Africa la guerra civile è in corso dal 1991, le vittime sono diverse centinaia di migliaia ed i profughi nel campo keniota di Dadaab, progettato per ospitare 90.000 persone, sono oltre mezzo milione, costrette a vivere in uno stato di perenne emergenza umanitaria sia per le carestie, che per la criminalità.
Negli ultimi tempi le pressioni sugli shabaabiti si sono intensificate grazie al supporto degli Stati Uniti, i quali intervengono con droni (aerei senza pilota) e soprattutto all’impiego delle truppe regolari del Kenya, chiamate ad intervenire dallo stesso governo somalo; messi alle strette ed in vista dell’imminente battaglia di Chisimaio, gli islamici di al-Shabaab stanno arruolando da settimane giovani ed adolescenti da diversi paesi dell’area: gli attentati contro le chiese del Kenya hanno quindi lo scopo di dare un altolà a Nairobi dimostrando che i fondamentalisti di al-Shabaab sono in grado di colpire ovunque e senza troppi scrupoli.
L’Africa da sempre rappresenta una torta di cui ciascuno, compresa oggi la Cina, vuole la sua fetta. È certo quindi che oltre all’odio interreligioso, ad armare la mano dei terroristi di al-Qaeda vi sono anche interessi economici, in una guerra neocolonialista dove a pagare sono sempre i più deboli. A prescindere dal dio in cui credono.