Norme giuridiche, concorrenza e geoeconomia

di Massimo Ortolani

Di seguito il riferimento a due esempi di come norme giuridiche stiano impattando sul comportamento imprenditoriale con risvolti internazionali molto significativi e diversificati.

Il primo caso è quello della Direttiva n. 633/2019 del Parlamento e del Consiglio Europeo, con la quale si sono deliberate norme tese ad eliminare squilibri nel potere contrattuale nella filiera agricola e alimentare, tali da comportare pratiche commerciali sleali. Una filiera in Italia notoriamente connotata dalla presenza di piccoli-medi produttori e grandi imprese di commercializzazione, tanto che è in corso di accelerazione l’iter di approvazione del Disegno di legge n. 1721-B (legge di delegazione Europea), il cui art. 7 stabilisce i principi ed i criteri direttivi per l’attuazione appunto di questa direttiva. La cui portata però è ad ampio raggio, applicandosi anche quando il differenziale di fatturato tra venditore ed acquirente non si presenta sproporzionatamente a favore dei secondi. Infatti il riferimento è a determinate pratiche commerciali sleali attuate nella vendita di prodotti agricoli e alimentari da parte di fornitori con un fatturato annuale pari o inferiore a 2 milioni di euro ad acquirenti con un fatturato annuale superiore a 2 milioni di euro; ma in crescendo anche da parte di fornitori con un fatturato annuale compreso tra 150 milioni di euro e 350 milioni di euro ad acquirenti con un fatturato annuale superiore a 350 milioni di euro.

Prima di analizzare i principali divieti imposti con tale Direttiva, è bene contestualizzare le specificità della compravendita in campo agricolo ed alimentare in generale, connotata dal fattore temporale quale condizione di cogenza a sfavore del venditore rispetto al compratore. (1) Tanto che la Direttiva propone agli Stati membri di vietare pratiche commerciali nelle quali:
-l’acquirente annulla ordini di prodotti agricoli e alimentari deperibili con un preavviso talmente breve da far ragionevolmente presumere che il fornitore non riuscirà a trovare un’alternativa per commercializzare o utilizzare tali prodotti; per preavviso breve si intende sempre un preavviso inferiore a 30 giorni;
-l’acquirente modifica unilateralmente le condizioni di un accordo di fornitura di prodotti agricoli e alimentari relative alla frequenza, al metodo, al luogo, ai tempi o al volume della fornitura o della consegna dei prodotti agricoli e alimentari, alle norme di qualità, ai termini di pagamento o ai prezzi;
– l’acquirente minaccia di mettere in atto, o mette in atto, ritorsioni commerciali nei confronti del fornitore quando quest’ultimo esercita i diritti contrattuali e legali di cui gode, anche presentando una denuncia alle autorità di contrasto o cooperando con le autorità di contrasto durante un’indagine.

La cogenza temporale di cui sopra spinge notoriamente i venditori ad accettare anche le aste al ribasso, di cui è protagonista la GDO, esercitando effetti di forte compressione sui costi. Un deprecabile fenomeno che dovrebbe indurre ad un sempre più approfondito lavoro di intelligence economica, anche con applicazioni di IA, al fine di disvelare tutti i magheggi di natura contrattuale, di scambio di liquidi tra datore di lavoro ed operaio agricolo, intermediazioni fittizie, insussistenti proprietà agricole, lavoro nero e grigio, false bollinature etiche, consulenze fiscali e commerciali create ad hoc, che truffaldinamente giustificano i bassi costi di produzione in numerosi circuiti di tale filiera.

L’impatto sul piano micro e macroeconomico di tutto ciò si appalesa da una parte in una quota di export a fronte della quale non rileva l’esistenza di efficienti meccanismi legali di produzione da una parte e, dall’altra, la creazione di sacche di sottooccupazione con conseguente aumento della spesa pubblica per assistenza sociale. Da considerare inoltre che la quota di Pil ascrivibile al lavoro nero può essere solo oggetto di non facili stime. Mentre sul piano della competitività geoeconomica, la diversa scansione temporale con la quale tale Direttiva verrà recepita dai parlamenti nazionali degli Stati membri Ue, continuerà a creare motivo di potenziale distorsione della concorrenza.

Per fortuna la buona notizia è che in Italia notevoli passi avanti sono già stati fatti sul piano dei rapporti tra associazioni categoriali. Poiché le principali imprese del comparto distributivo hanno raggiunto di recente una serie di intese con le organizzazioni del comparto agricolo su importanti tematiche oggetto del recepimento di questa Direttiva sulle pratiche sleali. Come si legge su IlfattoAlimentare, “l’intesa rigetta l’uso delle aste on line al doppio ribasso, riconsidera il tema delle vendite sottocosto limitandole a casi specifici, introduce specifiche sui pagamenti”, oltre ad affiancarsi ad una precedente intesa raggiunta nel novembre 2020 tra distribuzione e industria del Largo Consumo sempre in tema di recepimento della stessa direttiva. Mentre nell’ultima bozza del PNRR si legge: “Una prima serie di misure in materia concorrenziale sarà prevista dalla legge per il mercato e la concorrenza per il 2021, mentre altre verranno considerate nelle leggi annuali per gli anni successivi, quando lo consentirà il superamento delle attuali e critiche condizioni socio-economiche, dovute anche alla pandemia”.

Il secondo caso in esame si presenta con esiti che non lasciano invece così ben sperare.
Il riferimento è agli impatti di extraterritorialità delle norme sanzionatorie Usa, ed in particolare di quelle contro l’Iran (2), che sembrano avere lambito incidentalmente anche il nostro paese con specifici interventi dell’OFAC. Anche se in tal caso il focus va naturalmente riferito alle esportazioni virtualmente abortite a seguito sia di queste che delle altre sanzioni emanate anche dalla Ue verso la Russia, delle contro sanzioni russe, ecc. Notoriamente la giustezza delle sanzioni promana dalla violazione di principi di diritto internazionale (occupazione della Crimea), contrasto ad attività di proliferazione nucleare, violazione dei diritti umani e civili, ecc. Ma le relative norme non sortiscono sempre e comunque gli effetti sperati, dipendendo fondamentalmente dal potere geopolitico di chi le applica e da quello geoeconomico di chi ne è il target diretto.
Tali atti decisori hanno determinato inoltre situazioni difformi da caso a caso, con variazione del mix di prodotti/servizi esportati nei paesi target, deviazioni dei flussi di export verso altri mercati, che possono in parte compensare le perdite verso i target, ovvero sostituzioni di import (Russia) con invece riduzione dei flussi precedentemente esportati. Situazioni che ad oggi pongono quindi seri quesiti ai leader mondiali del capitalismo “politico” quanto all’ipotesi di continuare a privilegiare lo strumento sanzionatorio in forma punitiva, ma al di fuori di un quadro di più ampie azioni/costrizioni di politica estera.

Nonostante la buona notizia, sul piano diplomatico, del recente incontro esplorativo, a Vienna, finalizzato ad un possibile riesame negoziale del Jcpoa (Joint Comprehensive Plan of Action) tra gli iraniani ed i rappresentanti dei paesi ancora parte dell’accordo, è difficile fare previsioni sugli esiti che ne seguiranno. Trattasi di negoziazioni che risulteranno certamente utili anche agli Usa, usciti da tempo dal Jcpoa a seguito delle decisioni prese dal precedente presidente americano, qualora Biden intendesse riannodare i rapporti con l’Iran secondo nuovi criteri di diplomazia economica.

Siamo ormai alle soglie del plausibilmente definitivo, anche se graduale, passaggio a tempi di normalità economica post-Covid, della definizione di una più assertiva autonomia strategica della Ue, per una politica estera caratterizzata sul piano geopolitico dalle cospicue aspettative sul piano dei rapporti transatlantici, e dell’implementazione degli impegni di rilevanza geoeconomica del G20 a guida italiana. Dunque, un frangente temporale più che opportuno anche per affrontare un chiarimento sul tema sanzioni, privilegiandone l’aspetto metodologico. Senza approcciare quindi contesti nazionali separatamente, bensì analizzando in una chiave di diplomazia geostrategica, con accordi tra alleati e paesi amici, la problematica del come diversamente affrontare e gestire rischi geopolitici e geoeconomici che promanano dai quadranti dell’Europa dell’est, del Mediterraneo, del Medio Oriente.

L’assertività espressa dal presidente Draghi con la sua visita a Tripoli, e le sue recenti prese di posizione verso un “giocatore di sponda” sul piano geopolitico come Erdogan, sembrano peraltro preludere, come sostenuto dal NYT, ad un ruolo per l’Italia da Power Player in Europe anche sulla gestione di tali importanti tematiche di diplomazia politica ed economica. Certo si tratta di un percorso di normalizzazione non facile e di breve durata, offuscato dall’interdipendenza simultanea di obiettivi geopolitici inerenti anche l’ambito energetico, lo spygame, ed i divergenti interessi di paesi amici ed alleati. E però la politica, come arte del “possibile” è riuscita recentemente a conseguire risultati fino a poco tempo fa insperati, come avvenuto con il piano Abram di Trump ed Israele.

Note:
1 – L’art. 1 della Direttiva prescrive anche tempistiche di pagamento da rispettare. C’e da tenere conto, infatti che, in tale contesto commerciale il venditore non si può cautelare contro il mancato/ritardato pagamento della fornitura applicando la clausola di riservato dominio, come invece può avvenire nella vendita di beni durevoli o di impianti.
2 – Per una spiegazione del meccanismo operativo del CISADA (Comprehensive Iran Sanctions, Accountability and Divestment Act) si veda “Intelligence Economica e Conflitto Geoeeconomico” Ed. goWare, pag 274 e seguenti, a cura dello scrivente.