Onu. I Caschi Blu: da usare solo quando è comodo…

di C. Alessandro Mauceri –

Non passa giorno senza che i media non riportino gli orrori di alcune delle guerre. Conflitti armati che causa di decine e decine di migliaia di vittime tra i civili, in Africa, in Asia in Medio Oriente. Guerre dove nessuna delle parti in causa rispetta le “regole” previste dai trattati e dalle convenzioni del diritto internazionale umanitario.
A garantire il rispetto delle regole che dovrebbero tutelare i civili (e non solo) durante un conflitto armato, in molti di questi territori, sono presenti i Caschi Blu delle Nazioni Unite.
Non ci sono Caschi Blu né in Ucraina, né nella Striscia di Gaza.
Per capire è necessario comprendere come funzionano le missioni di peacekeeping. Obiettivo principale delle missioni di pace dei Caschi Blu è mantenere la pace e la sicurezza in zone di conflitto o post-conflitto e favorire il ripristino della normalità politica e civile su un certo territorio o paese.
A volte i caschi blu vengono inviati in situazioni di crisi internazionali su richiesta di una delle parti coinvolte. Ma sempre dopo una decisione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
Lo scorso anno è stato celebrato il 75mo anniversario dalla prima operazione dei peacekeeping delle Nazioni Unite. In quella occasione è stato ribadito che i Caschi Blu lavorano in alcuni degli ambienti più pericolosi del mondo, e sono “persone comuni che si sforzano di raggiungere risultati straordinari”. Tra i compiti dei Caschi Blu il monitoraggio dei cessate il fuoco, la protezione dei civili, l’assistenza umanitaria e il sostegno alle istituzioni locali nel ripristinare l’ordine pubblico, ma anche la protezione dei civili, la promozione dei diritti umani, il disarmo e il contrasto al terrorismo. Le truppe di pace dell’ONU possono essere coinvolte nella gestione delle elezioni, nel disarmo delle milizie e nel sostegno alle operazioni di ricostruzione.
Proprio per i risultati raggiunti nel 1988 venne loro assegnato il Premio Nobel per la Pace. Una decisione insolita visto che sono pur sempre una forza militare.
Secondo i dai delle Nazioni Unite elaborati dall’ISPI e relativi al 2022, sono decine le missioni in atto per i quasi 87mila Caschi Blu forniti da un centinaio di paesi. Più di 50mila sono dispiegati per le operazioni in Africa (in paesi come la Repubblica Democratica del Congo, il Sudan del Sud, il Mali, la Repubblica Centrafricana e la Somalia). E altre decine di migliaia per le missioni a guida regionale in Asia o in Medio Oriente.
Eppure non ci sono Caschi Blu né in Ucraina né nella Striscia di Gaza. Il punto è che le forze di pace possono essere dispiegate solo con il consenso delle parti in conflitto. Questo può essere estremamente difficile da ottenere. Spesso i governi e i gruppi politici sono riluttanti ad aprire le porte e mostrare a soggetti terzi (ritenuti istituzionalmente imparziali) gli scheletri nell’armadio che caratterizzano il loro modo di fare la guerra. Un modo di combattere che quasi mai rispetta le regole del diritto internazionale umanitario. È per questo che non sempre ai Caschi Blu è stato consentito di portare il proprio aiuto alle popolazioni che vivono in aree di guerra.
Ma c’è anche un altro motivo, di natura geopolitica. Le operazioni di mantenimento della pace dell’ONU devono anche essere autorizzate dal Consiglio di sicurezza, l’organo principale dell’ONU per la pace e la sicurezza internazionale. Ciò richiede un voto favorevole da parte dei quindici membri. E senza che venga apposto il veto da parte di uno dei cinque membri permanenti (Cina, Francia, Russia, Regno Unito e Stati Uniti). Quanto è avvenuto sia in Ucraina che nella Striscia di Gaza dimostra che sarebbe stato impossibile ottenere l’unanimità e non vedere paesi come la Russia o gli USA, entrambi direttamente coinvolti in questi conflitti (sebbene in modo diverso) apporre il veto.
Anche definire la missione non sarebbe facile. I mandati di mantenimento della pace possono differire in modo significativo in quanto sono adattati a conflitti specifici: ad esempio il documento di 21 pagine che prevedeva il mandato dei Caschi Blu in Libano, comprendeva il divieto di disarmare le milizie di Hezbollah pur essendo questa decisione in contrasto con la risoluzione n. 1559, che nel 2004 imponeva lo scioglimento e il disarmo di tutte le milizie in Libano. Gli obiettivi possono includere, tra gli altri, il monitoraggio della violenza, il disarmo e il reinserimento dei combattenti nella società, il monitoraggio delle elezioni, l’istituzione di sistemi giudiziari e l’agevolazione dei processi di riconciliazione. Visto ciò che avviene in Ucraina e nella Striscia di Gaza non sarebbe certo facile trovare un accordo per definire il mandato dei Caschi Blu.
Solo dopo aver ricevuto il via libera dal Consiglio di Sicurezza, l’Assemblea generale, il principale organo politico e rappresentativo dell’ONU, può decidere il finanziamento e il personale della missione. L’onere delle operazioni di mantenimento della pace è diviso tra tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite. Ma alcuni paesi partecipano principalmente finanziariamente coprendo una parte dei costi, mentre altri forniscono personale militare e di polizia. Dal 2022 ad oggi i paesi che hanno fornito i propri esperti sono stati Bangladesh, Nepal, India e Ruanda. Invece i principali paesi finanziatori sono stati gli Stati Uniti d’America, la Cina, il Giappone e la Germania.
Tutte le operazioni di mantenimento della pace sono basate su tre principi fondamentali: il consenso delle parti coinvolte nel conflitto, la completa imparzialità e il non uso della forza se non per autodifesa e difesa del mandato.
Questo significa che dato che l’ONU non dispone di una forza permanente di mantenimento della pace, ogni ogni volta che si decide di inviare i Caschi Blu deve essere stanziata la somma ad hoc.
Una volta, l’ex segretario generale dell’ONU Kofi Annan, paragonò le azioni di peacekeeping dell’ONU a “l’unica brigata dei vigili del fuoco al mondo che deve aspettare che scoppi l’incendio prima di poter acquistare un’autopompa”.
Ma in alcuni casi come per i conflitti in Ucraina e nella Striscia di Gaza sembra che nessuno voglia spegnere l’incendio. E tanto meno correre il rischio di far sapere a tutti chi quell’incendio lo ha appiccato.
Lo scorso anno la mostra organizzata in occasione del 75mo anniversario dei Caschi Blu venne intitolata “La pace inizia con me”. “Mantenere la pace è responsabilità di tutte le persone, ovunque esse si trovino”. Purtroppo ci sono alcuni che non vogliono la pace: preferiscono la guerra.