Paesi ambientalisti… con le trivelle

di C. Alessandro Mauceri –

Se c’è un termine per descrivere con una parola sola molte delle politiche attuali questo è “ipocrisia”. Viviamo in un mondo nel quale paesi “sviluppati” adottano misure che stanno portando l’umanità indietro di secoli. Un mondo nel quale si parla di pace ma si combattono sempre più guerre. Un mondo dove i governi dicono di voler abbattere le frontiere ma poi, a guardare bene, ci si accorge che, mai come oggi, sono stati costruiti muri e barriere. Barriere che servono a limitare gli spostamenti delle persone; le merci, al contrario, possono girare liberamente per venire incontro ai diktat delle grandi multinazionali che non potrebbero far nulla senza mercati globali.
Anche dal punto di vista ambientale l’ipocrisia la fa da padrona. Non c’è governo che non parli di politiche “verdi”, di “sostenibilità” se non addirittura di emissioni zero da qui a pochi anni e di “new green deal”.
Tuttavia basta guardare ai fatti, quelli veri, quelli contenuti nei documenti che nessuno ormai legge più fino in fondo. a volte nemmeno i politici che li votano nei vari parlamenti. Allora ci si accorge che, alle spalle di tutte queste belle parole, ci sono politiche che di verde e sostenibile non hanno proprio nulla.
Un esempio? La decisione di molti paesi di trivellare alla ricerca di combustibili fossili. Una scelta insensata se si pensa a promesse come quella della Commissione Europea di raggiungere le “emissioni zero” entro il 2050. La realtà è che molti paesi non solo non stanno facendo niente di concreto per dissuadere dall’utilizzo di combustibili fossili, ma, al contrario, stanno cercando nuovi giacimenti da sfruttare.
La Croazia, ad esempio, oltre ai piani di sfruttamento dell’Adriatico, ha lanciato una nuova gara per cercare altri giacimenti. Anche il Montenegro ha dimostrato di voler fare la stessa cosa nel mar Adriatico, dove nei mesi scorsi erano in programma le prospezioni geologiche. Sul Mar Mediterraneo anche la Libia (grazie a Gazprom) pare voler aumentare ricerca e produzione di petrolio nelle proprie zone di competenza.
Sull’altro fronte dell’Europa pochi giorni fa la Norvegia ha annunciato la ripresa delle ricerche per nuovi giacimenti nel Mare del Nord. MOL (filiale norvegese della società petrolifera ungherese) ed Equinor stanno scavando pozzi di “esplorazione” che dicono essere particolarmente promettenti.
Dal canto suo anche il Regno Unito ha intensificato le ricerche per l’estrazione di idrocarburi. La BP ha stretto un accordo con Baker Hughes e la norvegese Oldfjell Drilling per migliorare la produzione nel giacimento di petrolio pesante di Clair Ridge. Si parla di investimenti che dovrebbero permettere di potenziare la produzione di uno dei più grandi impianti (7 miliardi di barili) del Regno Unito.
Un comportamento anomalo quello del regno oltre Manica, che non solo ha rinviato alla fine del 2021 i lavori della COP26, inizialmente previsti per Novembre 2020 a Glasgow, in Scozia, ma che sulla carta ricoprire il ruolo di paese incaricato dall’AIE di sviluppare un percorso verso l’azzeramento delle emissioni nette entro il 2050.
Anche alcuni paesi africani sembrano aver compreso che con il petrolio si possono fare tanti soldi. La Nigerian National Petroleum Corp ha rinnovato, per altri 20 anni, l’Oil Mining Lease 118 con le filiali locali di Shell, Total, Exxon ed Eni (Shell Nigeria Exploration and Production Company, Total Exploration and Production Nigeria Limited, Esso Exploration and Production Nigeria Limited e Nigerian Agip Exploration). A dare la notizia la stessa compagnia petrolifera statale che in questo modo ha scritto la parola fine su “controversie di lunga data sull’interpretazione dei termini fiscali dei contratti di condivisione della produzione”. In cambio il governo nigeriano riconoscerà immediatamente entrate per 780 milioni di dollari, liberando “le parti da oltre 9 miliardi di dollari di passività potenziali”.
Sempre a proposito di “salvare l’ambiente”, anche il comportamento del presidente degli USA, Biden, appare poco chiaro (per usare un eufemismo). In campagna elettorale, Biden si è presentato come paladino dell’ambiente: buona parte della sua campagna elettorale è stata basata su promesse che parlavano di politiche avrebbero dovuto fare l’opposto di quello che aveva fatto Trump. Biden ha convocato i leader mondiali per discutere di problemi ambientali durante un webinar durante la Giornata mondiale della Terra. Stranamente, però, lo stesso Biden dato l’ok al progetto Willow di Conoco Phillips autorizzando l’estrazione di 100mila barili di petrolio al giorno dal giacimento che si trova nella cosiddetta Natural Petroleum Reserve (secondo stime governative del 2008 custodirebbe quasi 900mln di barili di petrolio convenzionale e 1.500 km3 di gas naturale). Una riserva che si trova a pochi passi dall’Arctic National Wildlife Refuge, un’area preziosissima per la biodiversità e l’ecosistema della regione. La precedente amministrazione Trump aveva già provato a dar via libera alle trivelle. Ma Biden aveva messo il bando sulle nuove trivellazioni sui terreni federali. Poi, in silenzio, una volta dimostrato di avere a cuore l’ambiente, ha deciso di fare marcia indietro: un documento del dipartimento di Giustizia definisce il progetto per le estrazioni nella parte più settentrionale dell’Alaska “ragionevole e coerente” con la legge. “È incredibilmente deludente vedere l’amministrazione Biden difendere questo progetto disastroso dal punto di vista ambientale”, ha dichiarato Kristen Monsell, del Center for Biological Diversity, uno dei gruppi che hanno lavorato alla causa per fermare le trivellazioni. “Il presidente Biden ha promesso l’azione per il clima e il nostro clima non può permettersi nuovi enormi progetti di trivellazione petrolifera”.
Il punto è proprio questo. Mentre tutti i leader politici fingono di non vedere gli effetti delle loro politiche “ambientaliste” e riempiono i propri discorsi di paroloni “verdi”, la situazione peggiora giorno dopo giorno. Secondo Jim McCaul del World Energy Report, si prevedono investimenti fino a 40 miliardi di dollari nei prossimi 18 mesi, solo nel mercato delle acque profonde. Deepwater Sector “Rapidly Accelerates” out of Downturn – YouTube
La conseguenza è che le emissioni di CO2 sono aumentate e continueranno a farlo. Anche le risorse idriche sono sempre più a rischio: l’Italia è stata condannata a pagare una multa di 165mila Euro al giorno, oltre 30milioni per ogni semestre di ritardo, fino a quando non saranno adottate le misure necessarie per ottemperare a quanto previsto dalla normativa per il trattamento delle acque da scaricare a mare.
Ma non basta. I dati confermano che l’innalzamento delle temperature medie è, già oggi, al di sopra delle previsioni della COP di Parigi: “Esiste circa il 40% di possibilità che la temperatura globale media annuale raggiunga temporaneamente 1,5° C al di sopra dei livelli preindustriali in almeno uno dei prossimi cinque anni e queste probabilità aumentano con il tempo”, secondo la World Meteorological Organization.
Ma naturalmente per far fronte a tutto questo i politici non fanno nulla. Troppo impegnati, forse, a convincere i cittadini (e gli elettori) con ipocrite promesse su come salvare l’ambiente. Mentre, in realtà, si continua a trivellare il pianeta in cerca di petrolio.