Per Trump il diavolo abita sempre a Pechino

di Giovanni Ciprotti

L’argomento COVID-19 si arricchisce di un nuovo elemento, che poi tanto nuovo non è.
Donald Trump, dopo aver sottovalutato il rischio contagio e temporeggiato nell’adozione di efficaci misure di contrasto, è partito al contrattacco puntando il dito contro la Cina.
Sin dall’inizio della pandemia l’amministrazione statunitense aveva sottolineato la responsabilità del governo cinese per non aver tempestivamente condiviso con la comunità internazionale la reale situazione dei contagi tra la popolazione cinese. A metà aprile Trump aveva bloccato i fondi Usa all’Organizzazione Mondiale della Sanità, accusata di essere troppo filo-cinese.
Da qualche giorno la Casa Bianca ha alzato il livello dello scontro annunciando di avere le prove che il virus COVID-19 sia stato prodotto in un laboratorio di Wuhan, la città cinese da cui è partito il contagio. Le accuse di Donald Trump sono state ribadite ieri da Mike Pompeo, il Segretario di Stato Usa.
Pechino, naturalmente, respinge le accuse di Washington, in questo aiutata dalla opinione di una parte della comunità scientifica che sostiene si sia trattato di un virus dalla evoluzione naturale e non creato artificialmente. In questo momento è difficile stabilire chi abbia ragione, perché le famose prove non sono state ancora mostrate e chissà se lo saranno mai.
L’aspetto delle prove, della “pistola fumante”, ricorda un paio di drammatici casi che in passato hanno coinvolto l’amministrazione statunitense: il più recente nel 2003, il più datato nel 1962.
Nel 2003 il presidente statunitense dell’epoca, George W. Bush jr, per giustificare la programmata invasione dell’Iraq e guadagnare il consenso della comunità internazionale aveva accusato Saddam Hussein di sostenere il terrorismo di al-Qaeda e di fabbricare di nascosto armi di distruzione di massa, in particolare di tipo batteriologico.
Impossibilitato a dimostrare la complicità tra Saddam e Bin Laden, Bush jr ordinò al Segretario di Stato, Colin Powell, di presentare le prove della produzione irachena di antrace. Fece scalpore la conferenza stampa in cui Powell mostrò al mondo una provetta di antrace, che poteva essere stata presa da un posto qualsiasi del mondo (Stati Uniti compresi), quale prova irrefutabile della colpevolezza di Saddam e della pericolosità del regime iracheno per la sopravvivenza del genere umano.
Sappiamo come andò a finire: il 19 marzo la Casa Bianca ordinò l’invasione e il 1° maggio dello stesso anno il presidente Bush annunciava il suo “missione compiuta!” dal ponte della portaerei USS Abraham Lincoln.
Nei mesi e negli anni successivi non saltò fuori nessuna prova del presunto legame tra il dittatore iracheno e il capo di al-Qaeda né furono trovate tracce di armi di distruzione di massa di alcun tipo: le motivazioni con cui si era cercato di giustificare l’invasione dell’Iraq si erano rivelate false.
Il 22 ottobre 1962 il presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy annunciava a tutti gli americani, in un discorso televisivo, che l’Unione Sovietica stava segretamente costruendo a Cuba una base per il lancio di missili dotati di testate nucleari.
Nei successivi sei giorni il mondo assistette con il fiato sospeso al braccio di ferro tra Mosca e Washington sulla rimozione della base missilistica cubana.
Il 25 ottobre 1962 l’ambasciatore Usa all’Onu, Adlai Stevenson, in una sessione pubblica del Consiglio di Sicurezza Onu, dopo aver accusato l’Unione Sovietica della realizzazione di una base segreta missilistica a Cuba, mostrò davanti all’ambasciatore sovietico Zorin le fotografie scattate dagli aerei U-2 americani sulle rampe di lancio in fase di costruzione.
I tre casi citati sono accomunati da un fattore: gli Stati Uniti denunciano un comportamento gravissimo e puntano il dito contro un ben identificato Paese responsabile. Sono irrilevanti le diverse tipologie di minaccia e i Paesi di volta in volta coinvolti. La differenza fondamentale risiede invece nella capacità di dimostrare ufficialmente le accuse mosse al nemico di turno.
Nel 1962 le fotografie costituirono una prova inoppugnabile; nel 2003 la provetta di antrace fu un maldestro tentativo di dimostrare un’accusa che mascherava la decisione già presa a Washington di invadere l’Iraq; oggi non c’è ancora uno straccio di prova, neanche prefabbricata, sulle presunte responsabilità di Pechino. Quale potrà essere l’effetto sulla credibilità dell’amministrazione statunitense?