Perché non funziona rimpatrio dei clandestini, cosa fare per agevolarli

di Ciro Maddaloni *

Il fenomeno dell’immigrazione clandestina pone problemi di sicurezza e problemi sociali che devono essere gestiti dai governi di tutti i paesi europei che aderiscono al trattato di Schengen.
L’Unione Europea da tempo si è dotata di strumenti specifici per contrastare e gestire il fenomeno dell’immigrazione clandestina, sia con il Trattato di Schengen, sia con programmi per il finanziamento di progetti specifici per il contrasto all’immigrazione clandestina e la gestione nei centri di accoglienza, principalmente in Grecia ed Italia, dei migranti arrivati clandestinamente nell’Area Schengen.
La Commissione Europea ha pubblicato negli anni diversi inviti a presentare proposte progettuali, finanziate dal bilancio comunitario, per il rimpatrio degli immigrati clandestini; per la verifica delle opportunità di lavoro per i rimpatriati; per le informazioni sull’immigrazione e l’accoglienza.
Altri fondi comunitari sono disponibili per la gestione degli immigrati clandestini, come ad esempio i fondi per la formazione di immigrati, per favorire il loro inserimento o reinserimento nel mondo del lavoro con sostegni economici per la cooperazione transnazionale, per la promozione di nuovi mezzi per lottare contro le discriminazioni e le diseguaglianze in relazione con il mercato del lavoro.
Malgrado siano in campo tutte queste misure e fondi comunitari per la gestione dei migranti e il rimpatrio di coloro che non hanno diritto di permanere nell’Area Schengen, il sistema dei rimpatri verso i Paesi d’origine non ha funzionato.
Unica azione concreta posta in essere da alcuni Paesi aderenti ai Trattati di Schengen è l’applicazione degli Accordi di Dublino che prevedono di rimandare i migranti nel Paese di primo ingresso, penalizzando così quelli di primo approdo, come l’Italia e la Grecia, su cui vengono scaricati tutti gli oneri di gestione dei clandestini.
L’Italia non ha utilizzato tutti i fondi comunitari disponibili per la realizzazione di progetti di rimpatrio e neanche per migliorare le forme di accoglienza degli immigrati.
Gli immigrati clandestini “sottoposti a provvedimenti di espulsione e o di respingimento con accompagnamento coattivo alla frontiera non immediatamente eseguibile” vengono in genere ospitati nei Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE) che sono nati proprio per fare fronte alla gestione dell’emergenza clandestini.
Dovevano servire per consentire gli accertamenti di rito sull’identità di persone trattenute in vista di una possibile espulsione, ovvero di trattenere persone in attesa di un’espulsione certa. I risultati ottenuti, tuttavia, sono ben lontani dagli obiettivi originariamente previsti dalla legge.
Per rendere l’espulsione dei clandestini possibile; ed al contempo cercare di aiutare in modo fattivo queste masse disperate che hanno affrontato pericoli e difficoltà immense per giungere in Europa, bisogna elaborare nuove idee per utilizzare in modo pro-attivo i fondi comunitari ed il periodo di tempo che i clandestini passano nei CIE; per aiutarli ad organizzare il loro rientro nel Paese di origine.
In funzione delle attitudini di ciascun giovane (rilevabili con l’assistenza di personale specializzato tramite test psicoattitudinali), gli immigrati potrebbero essere ammessi alla frequenza di corsi professionali intensivi per apprendere quei mestieri che potranno essere utili quando saranno riaccompagnati nei paesi di provenienza.
Si potranno fare corsi per riparatori meccanici, riparatori di frigoriferi, elettricisti, idraulici, infermieri, sarti, orticultori, etc.
Questo tipo di corsi potrà essere finanziato con vari tipi di fondi e programmi comunitari esistenti o che potranno anche essere attivati ad hoc, essendo il problema comunque di livello europeo.
I corsi potranno essere realizzati anche dalle industrie private (Fiat Agri, Piaggio, etc.) con forme di collaborazione Pubblico-Privato utile a chi frequenta i corsi e a chi li organizza, per creare forza lavoro nei paesi di origine di questi migranti.
Si tratta di attivare tutte le forme possibili di cooperazione transnazionale a livello europeo e extraeuropeo per promuove gli scambi di esperienze e di buone pratiche e per aiutare i paesi in via di sviluppo a non perdere le loro risorse umane migliori; ed al contempo, di ricevere aiuti che possono effettivamente servire a questi Paesi per trovare una via sostenibile allo sviluppo.
Questo approccio pro-attivo alla gestione del problema immigrazione clandestina ed esigenza di rimpatriare coloro che non hanno diritto a rimanere nell’Area Schengen, potrebbe creare delle opportunità commerciali per le aziende italiane che potrebbero trovare negli immigrati rimpatriati nei vari Paesi, il personale da utilizzare per promuovere i propri prodotti in quel territorio e per assicurare l’assistenza dei prodotti venduti.
Il vero freno ai rimpatri è l’impossibilità di fare fronte a quello che viene visto dalla gente locale come un fallimento. Chi è partito da un Paese africano per bisogno non può tornare a casa a mani vuote. Questo è il vero freno ai processi di rimpatrio.
Molti di questi giovani hanno contratto debiti per pagare i trafficanti che li hanno portati in Europa e devono restituire questi soldi.
Noi possiamo trasformare il rimpatrio in un successo garantendo una specializzazione ed un lavoro a chi rientra nel proprio paese, oltre ad un reddito che consenta loro di poter ripagare i debiti.

* Esperto di Schengen – Sistema di controllo delle frontiere.

Articolo in mediapartnership con il Giornale Diplomatico.