Pianificazione e propaganda on line: il terrorismo jihadista e il proselitismo in rete

di Sonia Lay

cyber jihadNon eravamo pronti ad affrontare una minaccia simile, e non lo siamo ora.
Il complesso fenomeno del terrorismo è stato contrassegnato, negli ultimi anni, da una grande evoluzione. Dall’11 settembre è ormai chiaro a tutti, o quasi, che quella che ci troviamo a fronteggiare attualmente è una guerra asimmetrica, una guerra in cui il rischio maggiore è nell’assenza di equilibrio tra le forze in opposizione. I jihadisti si affidano sempre più spesso alla Rete per implementare strategie operative, cercare nuovi proseliti, comunicare con le svariate cellule autonome sparse per il mondo.
Ma perché i militanti islamici scelgono il Web?

Definizioni e riflessioni sociologiche.
Il terrorismo è un fenomeno sociale complesso, per capirne motivazioni e scelte è fondamentale partire da una definizione che sintetizzi i suoi elementi distintivi. Il Terrorismo è un’azione violenta e politicamente motivata, il cui scopo è turbare profondamente i destinatari dell’atto colpendo obiettivi di valore simbolico. I terroristi, dunque, hanno bisogno di un palcoscenico su cui esibire il loro potenziale distruttivo, intimorendo così i nemici e favorendo l’aggregazione di proseliti e simpatizzanti.
La promozione della violenza e della retorica estremista rappresentano i temi propulsori della propaganda jihadista che, con l’ausilio di internet, riesce a sollecitare l’attenzione di differenti tipologie di audience e coprire un’ampia gamma di obiettivi.
La propaganda può infatti essere orientata al reclutamento, alla radicalizzazione, alla manipolazione psicologica e alla creazione di un profondo senso di insicurezza nell’altro da sé, concepito e percepito come nemico. E’ esattamente questa la prima finalità che si pone la propaganda terrorista. La creazione ed il consolidamento dell’immagine di un nemico comune, infatti, assolve diverse funzioni di psicologia individuale e sociale:
– discolpa, facendo ricadere le responsabilità di quanto accade interamente sul nemico, consentendo di giustificare le violenze perpetrate dal movimento stesso;
– stabilizza, la percezione di un nemico comune favorisce la coesione dei membri del gruppo;
– polarizza, la creazione di una divisione netta tra chi è con noi e chi è contro di noifavorisce la manipolazione delle persone;
– attiva, motivando i membri del gruppo ad agire contro il nemico, superando anche gli scrupoli davanti a violenze efferate.
Confondere il nemico è altrettanto importante, lo rende più vulnerabile e crea divisioni interne. Gli attentati del terrorismo jihadista hanno esacerbato l’islamofobia, alimentando la convinzione che l’estremismo sia imputabile unicamente alla religione islamica e alle prescrizioni del Corano.
Ma accurate ricerche sull’Islam contemporaneo, come quelle realizzate dall’Istituto di ricerca Gallup tra il 2001 e il 2007, sembrano dimostrare che le motivazioni di chi sostiene il terrorismo siano soprattutto politiche: gli estremisti ripudiano soprattutto le politiche dell’occidente, l’occupazione e lo sfruttamento delle loro terre.
Comprendere le dinamiche del terrorismo significa prima di tutto spogliarsi dei pregiudizi alimentati da media e leader politici, ed accogliere verità che possono apparire scomode per la nostra comunità occidentale.

Internet nella strategia jihadista.
Queste riflessioni rimandano ad un elemento chiave: il terrorismo odierno è spettacolo, ed Internet rappresenta lo spazio privilegiato per maturare e migliorare la propria ars bellica.
Una delle motivazioni che incoraggia i jihadisti all’uso strategico del web è la possibilità di ovviare ad alcune restrizioni, e la garanzia dell’accesso e della circolazione globale del messaggio qualunque ne sia il contenuto. Nessun problema, insomma, se gli altri media non garantiscono la diffusione di videomessaggi e proclami del movimento. Inoltre, l’architettura di internet presenta delle notevoli analogie con il fenomeno dell’iperterrorismo contemporaneo: è fortemente decentralizzata e nasce dall’intreccio tra reti e sottoreti dalle caratteristiche anche molto diverse. La forza dei movimenti che sostengono il jihad è infatti anche nell’estrema frammentazione delle cellule spontanee sparse per il mondo.
La struttura reticolare è sicuramente meno vulnerabile di quella gerarchica, poiché garantisce facilità di dispersione; è per questo che la cattura di un membro difficilmente condurrà ad altre cellule affiliate al movimento.
Appare chiaro che il nemico non è chiaramente identificabile, e questo rappresenta oggi la principale sfida per chiunque si avvicini allo studio o ad una semplice riflessione sul fenomeno. Cercare una soluzione implica conoscenza, e la conoscenza si costruisce sull’analisi dei fatti, delle ideologie, dei movimenti, delle motivazioni, delle strategie adottate dai terroristi e dai loro sostenitori. Nell’ambito di una strategia di intelligence condivisa, i cultori del fenomeno si dividono in due categorie: gli attivisti che cercano di arrestare il dilagare del fenomeno online, oscurando siti e materiali jihadisti, e quelli che ritengono più opportuno mantenere in vita queste realtà per poter studiare i loro movimenti ed individuare i successivi obiettivi.
E’ doveroso precisare che disattivare siti jihadisti non ne garantisce la fine: se un sito web terrorista viene oscurato, dopo poco riapparirà sotto altro nome e/o sul server di un altro service provider. Va inoltre considerato l’uso che i terroristi fanno di ulteriori risorse per la comunicazione tra cui chat, email, forum, oppure di tools specifici come Google Earth e Street View per la pianificazione e gestione operativa.
Rientra nelle nuove modalità adottate anche l’addestramento a distanza: molto diffusi sono i manuali, le riviste, e le enciclopedie virtuali, indirizzati principalmente a simpatizzanti e reclute potenziali, e che forniscono le basi ideologiche di riferimento, istruzioni operative, talvolta indicazioni su come costruire ordigni ed altri strumenti utili per la guerra. Particolarmente rilevante è l’addestramento e l’indottrinamento di reclute giovanissime: i terroristi islamici mirano ad alimentare una cultura di violenza, odio e disperazione anche nei bambini, ed in questo caso la preparazione al jihad si avvale principalmente di giochi, video, musiche e personaggi fantastici.
Per arrivare ai giovani la tattica più utilizzata dai jihadisti è spesso quella dei videogiochi, in cui i nemici sono sempre aggressori esterni o robot che minacciano la religione e i costumi musulmani. Tra i più celebri possiamo annoverare Ummah Defense (non più facilmente reperibile) e Under Ash (di cui ora è disponibile il sequelUnder Siege).

Deduzioni finali.
Appare pertanto evidente che, sebbene i terroristi abbiano implementato innovative strategie di lotta, il loro uso di internet ci fornisce comunque nuove opportunità di analisi e prevenzione del fenomeno stesso, potendo favorire un’indagine approfondita di attività, spostamenti e progetti. Contestualmente all’aumento esponenziale del cyberterrorismo, infatti, molti cultori o analisti del fenomeno ne hanno derivato un nuovo ambito di studio. Si tratta di veri e propri cacciatori che seguono ed inseguono le tracce dei militanti jihadisti online, osservandone in silenzio i movimenti o presentandosi come simpatizzanti per guadagnarsi la fiducia dei terroristi e raccogliere, così, dati rilevanti sul loro mondo.
Se oggi disponiamo di informazioni essenziali è anche grazie a questi utenti esperti, il cui lavoro non sempre viene compreso e sostenuto. Questo perché, nelle strategie dicounterterrorism, gli esperti informatici e le loro operazioni di sabotaggio occupano un posto di primo piano soprattutto nell’opinione collettiva di coloro che credono che basti oscurare un sito web per riuscire a contrastare un fenomeno così pervasivo.
Tale tipologia di controffensiva può certamente rallentare il corso delle loro comunicazioni on-line, ma non fermerà l’avanzata jihadista sulla rete e fuori. Sembrerebbe pertanto indispensabile elaborare nuove strategie di risposta maggiormente orientate al controllo dei movimenti e di progettualità dei jihadisti, così da garantire risposte più adeguate e strappare l’iniziativa al Terrore.
Un ulteriore dato interessante emerge dalle indagini di istituti affermati, come il già citato Gallup, o l’Università di Leida in Olanda, che nel 2006 ha pubblicato un report sulle caratteristiche dei jihadisti: alcuni di essi possiedono un buon livello di istruzione, non sono particolarmente credenti, hanno un buon lavoro.
La psicologia del terrore, dunque, prospera nelle menti attraverso la trasmissione di profonde credenze e l’adesione al jihad avviene per contagio ideologico, grazie anche al potere carismatico di leader politici e spirituali.
Il terrorismo risulta così essere un fenomeno composito nelle motivazioni, ed all’interno di uno stesso movimento i fattori determinanti l’adesione possono essere molteplici: politici, religiosi, sociali, psicologici. Bisogno di appartenenza sociale, ripudio verso le politiche dell’occidente, credenze religiose radicate, legami affettivi che introducono alla carriera deviante, sono alcune delle variabili che possono essere considerate come fondanti l’identità del militante jihadista.
Come ogni confronto che abbraccia religione società e politica, l’investimento maggiore dev’essere fatto sul piano culturale. Bisognerebbe elaborare strategie che agiscano sulle condizioni che favoriscono lo sviluppo del fenomeno e dell’odio verso l’occidente. Il coinvolgimento della parte moderata dei musulmani potrebbe essere determinante nel favorire la diffusione di un’interpretazione positiva delle prescrizioni del Corano, così da disarmare i leader carismatici, del jihadismo e non solo, che strumentalizzano da tempo la religione islamica.