Razzi da Gaza e raid da Israele: è lingua di sempre. Ma c’è a chi conviene la ripresa della violenza

di Ehsan Soltani

gaza razzo grandeAncora razzi da Gaza e raid da Israele: non si placa la tensione per un escalation che al momento pare inarrestabile, anche se fortunatamente non risultano esservi vittime da parte israeliana anche a causa della scarsa efficacia dei proiettili artigianali e dei missili imprecisi lanciati dalla parte palestinese.
Fonti mediche da Gaza informano invece che sono 25 i palestinesi rimasti uccisi dai missili di Tel Aviv nelle ultime ore. Diverse decine i feriti.
L’operazione punitiva di Israele, chiamata “Barriera protettiva”, ha visto il bombardamento in poco più di un’ora di una trentina di obiettivi (oltre 70 dall’inizio), spesso appartamenti di palestinesi di Hamas collocati in palazzine di gente comune: prima che le case venissero centrate dai missili lanciati dagli aerei, le famiglie hanno ricevuto una chiamata al telefono da un rappresentante dell’esercito che avvertiva dell’imminente attacco.
Un portavoce dell’esercito ha precisato che sono stati colpiti “circa 430 obiettivi, tra cui quattro case di proprietà di attivisti, siti di lancio dei razzi, tunnel e infrastrutture”, con lo scopo di “colpire Hamas e ridurre il numero di razzi lanciati contro Israele”.
Le autorità hanno raccomandato alla popolazione israeliana che si trova entro il raggio di 30 km. dai confini con Gaza di rimanere nelle aree protette ed ha disposto la chiusura dei campeggi estivi per studenti prospicienti l’area interessata dalla possibile caduta dei missili.
Intanto il premier Benjamin Netanyahu continua a minacciare un’offensiva di terra, la quale, come ha affermato, “è sul tavolo e le istruzioni sono prepararsi ad una profonda, lunga, continua e forte campagna a Gaza”. Al di là dei proclami ancora di concreto non vi è nulla, anche se 40.000 riservisti sono già stati richiamati. Sempre il portavoce dell’esercito israeliano ha specificato che i militari sono stati messi in allerta “per essere pronti a lanciare un attacco da terra, in caso di necessità”, ed ha specificato che gli attacchi aerei che sono solo una tappa, anche perché i palestinesi disporrebbero di circa “100.000 razzi, tra cui alcuni capaci di raggiungere Tel Aviv”.
Hamas ha minacciato con un comunicato “un terremoto”, ovvero un intervento più ampio: “Se questa politica di colpire le case non si interrompe, risponderemo allargando il raggio dei nostri obiettivi fino a un punto che sorprenderà i nostri nemici”.
E difatti in serata razzi sparati da Gaza hanno colpito per la prima volta Gerusalemme, notizia confermata sia da sponda palestinese che israeliana. Poi altri razzi sono stati intercettati dai sistemi difensivi mentre erano diretti su Tel Aviv: le Brigate Ezzedin al-Qassam hanno rivendicato di “aver lanciato contro Haifa un razzo R160, contro Gerusalemme quattro razzi M75, e contro Tel Aviv altri quattro razzi M75″.
Tuttavia un terremoto a Tel Aviv c’è già stato, tutto politico, in quanto il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, leader del partito di destra nazionalista “Israel Beitenu”, ha annunciato la rottura del patto elettorale con il Likud del premier Benjamin Netanyahu. Resterà al governo, ma in una conferenza stampa Lieberman ha parlato di “divergenze di opinioni profonde”. Alla base le accuse nei confronti del premier di voler proseguire una linea giudicata “troppo morbida” nei confronti dei palestinesi: si tratta di una parte della politica israeliana che vorrebbe una guerra totale per risolvere la questione una volta per tutte, una fazione che vede elementi sostenuti dai coloni come nel caso del ministro dell’Economia Naftali Bennett, che nei giorni scorsi aveva preteso la distruzione delle case dei sospettati dell’uccisione dei tre seminaristi e la reintroduzione per loro della pena di morte, ma che se ne è stato ben zitto davanti ai sei arrestati per aver bruciato vivo il 17enne palestinese rapito mentre si recava in moschea.
I conti, tuttavia, continuano a non tornare. La domanda chiave è: chi ha interessi nella ripresa della violenza?
Gli avvenimenti degli ultimi tempi parlano chiaro: dopo che è fallito il tentativo di far ripartire il dialogo israelo-palestinese voluto dallo statunitense John Kerry proprio perché Israele si è opposto alla designazione dei confini di un eventuale Stato Palestinese, ha interrotto la liberazione dei prigionieri politici e soprattutto non ha sospeso la politica di costruzione degli alloggi nei Territori occupati (è di pochi giorni fa l’annuncio del ministro dell’Edilizia Uri Ariel della costruzione di altre 1500 case in Cisgiordania e a Gerusalemme est), il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese e leader di al-Fatah, Abu Mazen, ha annunciato l’accordo con Hamas e l’entrata del partito egemone a Gaza nel governo palestinese.
Netanyahu e il suo governo sono quindi andati su tutte le furie, anche perché il gesto di Abu Mazen è stato accompagnato dalla firma di una sessantina di trattati internazionali con una comunità, quella internazionale, sempre più insofferente verso l’evidente progetto di Israele di espellere col tempo gli arabi autoctoni dall’area e di proclamare uno Stato al cento per cento ebraico.
Già l’Unione europea ha sospeso i rapporti con le banche e con le organizzazioni israeliane che operano nei Territori occupati, come nel caso di importanti istituti come la Deutsche Bank, l’olandese Pggm ed altri danesi che hanno rotto a febbraio i rapporti con la Banca Hapoalim israeliana (vedi), cosa che ha fatto esclamare al ministro delle Finanze di Tel Aviv che “tali iniziative arrecheranno gravi danni all’economia del Paese”.
Sono in molti, tuttavia, a giurare a Tel Aviv che l’attuale maggioranza potrebbe avere il tempo contato: razzi e raid vengono di certo buoni allo stesso Netanyahu, che con un sol colpo tiene alta quella giusta dose di tensione che gli permette di minare l’alleanza fra Hamas e al-Fatah, allontanare l’ipotesi della nascita di uno Stato palestinese e tenere insieme la sua traballante maggioranza. Senza un compromesso e l’ammorbidimento dei toni da entrambe le parti non potrà mai riavviarsi il processo di pace, e a chi vuole espropriare altri terreni e allargare i confini del proprio Stato questo conviene.