Riqualificazione green: la situazione dell’Italia e la richiesta della Ue

di Leonardo Innocenzi

All’inizio di febbraio , più precisamente il 9, c’è stata la prima votazione in Commissione Industria, Ricerca ed Energia (Itre) del Parlamento Europeo, circa le nuove direttive Ue sulle case green che mira a migliorare l’efficienza energetica degli edifici e a ridurre i consumi energetici e le emissioni di CO2. L’argomento è ormai sensibile e non a caso ha acceso un dibattito nazionale. Le informazioni che girano sono confuse e fuorvianti, facciamo chiarezza.

Cosa chiede la Ue all’Italia.
Il piano dell’Europa per la transazione energetica (Fit For 55) ha al suo interno una direttiva ben precisa, quella dell’Energy Performance of Buildings Directive (EPBD).
Questo piano ha come scopo ben preciso la riduzione delle emissioni nette di gas ad effetto serra stabilendo che entro il 2030 i nuovi edifici dovranno essere ad emissioni zero; gli edifici esistenti invece avranno tempo fino al 2050 con step intermedi, ovvero raggiungendo la classe energetica E entro il 1 gennaio del 2030 e la classe energetica D entro il 1 gennaio 2033.
Successivamente nella plenaria di marzo 2023 ci sarà il voto dell’Europarlamento circa la posizione finale sull’EPBD. Poi partirà il triangolo decisionale tra le tre istituzioni principali in questione ovvero Commissione, Consiglio e Parlamento, per giungere ad una conclusione finale e definitiva da approvare in Gazzetta Ufficiali.
Il testo ufficiale è praticamente pronto, manca solo l’accordo sulla gestione della riqualifica energetica degli immobili.

L’Italia non sta al passo.
Lo stivale purtroppo rientra ancora nella lista nera. L’Italia registra numerosi edifici purtroppo ancora inefficienti in termini energetici, ampiamente lontani dall’obiettivo finale di riqualificazione, con ben il 65% degli immobili costruiti senza alcun criterio di risparmio energetico.
Questa inefficienza grava pesantemente sul fabbisogno energetico delle abitazioni e di conseguenza sulla domanda finale volta al settore energetico, registrando consumi finali di energia praticamente raddoppiati circa le attuali possibilità e partecipando in maniera attiva a circa un +19% delle emissioni dirette. Inoltre questa elevata dipendenza del gas naturale di famiglie e imprese può essere molto rischiosa come testimoniato dalla recente impennata dei prezzi per l’energia.

Gli effetti del caro bollette.
Con questa tipologia di immobili sul suolo nazionale si sono registrate spese per l’energia incrementate del 65% per il gasa e del 108% per la luce rispetto al 2021. Si parla di circa di €1500 per famiglia. Il governo ha cercato di mettere una toppa qua e la con ben 60 miliardi di euro stanziati per contrastare il caro bollette ma è risultato chiaro che non è servito e che bisogna intervenire in maniera netta e definitiva. Per contrastare il caro bollette sarà positivo il passaggio al mercato libero dell’energia a partire dal 1 gennaio del 2024.
Secondo le stime di Enea, avere un’abitazione in classe F comporterebbe un miglioramento delle prestazioni energetiche di circa il 35% rispetto alla classe G, e minore domanda di energia, primariamente di gas, si traduce in maggiore sicurezza energetica per le famiglie.

Cosa chiede l’Europa.
Uno dei focus principali dei dibattiti è l’introduzione di soglie minime di prestazione energetica da applicare agli edifici vecchi e obsoleti. La Commissione europea ha fissato gli obiettivi: gli edifici pubblici dovranno raggiungere almeno la classe F entro il 2027 e la classe E entro il 2030; gli edifici residenziali hanno tre anni in più, quindi entro il 2033.
Non solo. Tra i vari cambiamenti la classe G corrisponderà al 15% degli edifici con le prestazioni peggiori e la nuova categoria “A0” agli edifici a emissioni zero. Le restanti classi dovranno essere ricalcolate e ricalibrate dai singoli Stati Membri sulla base delle caratteristiche del patrimonio edilizio nazionale, assicurando una distribuzione uniforme e bilanciata dell’ampiezza delle singole fasce.

Le reali richieste dell’Europa.
Si parla di una richiesta europea di un rinnovamento che balla tra il 60 al 75% calcolato su circa 12 milioni di edifici pubblici da effettuare nei prossimi 10 anni. Sbagliato. Secondo le prime stime preliminari la richiesta della UE si aggira intorno al 25-30% di rinnovamento. Si parlava anche di sanzioni in caso di non rinnovamento ma è sbagliato anche questo in quanto, almeno per ora, di sanzioni vere e proprie per i non adempienti non si è parlato.
L’eventuale decisione è demandata ai singoli Stati, ai quali è lasciato ampio margine di discrezionalità anche nella scelta di escludere dai requisiti in questione alcune tipologie edilizie, quali edifici storici o vincolati.

La situazione in Italia.
Nonostante l’Italia abbia stanziato incentivi volti alla riqualificazione energetica da oltre 10 anni e punta a spendere altri 18 miliardi nei prossimi tre che verranno, questo trend non risulta ancora sufficiente a colmare il gap necessario per il raggiungimento degli obiettivi 2030. Il Superbonus non è stato un flop, ma non ha coperto la reale necessità di crescita. Risultati molto positivi in termini di abbattimento delle emissioni sono stati raccolti invece dall’ efficienza tecnologica come elettrodomestici, caldaie più efficienti e illuminazione a Led.
La certezza è che bisogna fissare obiettivi chiari e semplici, altrimenti solo le classi più ricche avranno la capacità economica di investire in riqualificazioni edilizie, assicurandosi sicurezza energetica e valorizzando il proprio patrimonio immobiliare, ma lasciando indietro il Paese e non colmando definitivamente questo gap di efficientamento energetico nei confronti del resto dell’Europa.