“Ritorno di fiamma” tra Russia e Usa. Ma siamo alla linea Maginot

Alessandro Gatti *

Tornano alla mente in questi giorni le teorie sulla costruzione ed il mantenimento degli equilibri avanzate dal politologo John Ikenberry nel suo testo dal titolo “Il gioco delle potenze”. Una delle teorie su cui Ikenberry ha fondato la sua analisi è che, nella fase successiva alle due guerre mondiali, le logiche dell’ordine globale si siano spostate dal tentativo di ridurre quella che era la posizione dominante, mediante il ricorso alla forza, verso una ricerca di mitigazione attraverso l’equilibrio. Le logiche della deterrenza, su cui Usa ed Urss posero la base per il mantenimento dell’ordine internazionale, furono caratterizzate da un meccanismo definito di bilanciamento check and balance.
La deterrenza era il mezzo di confronto di una guerra latente, la cui sola minaccia era sufficiente a mantenere l’ordine. Non si trattava, a quel tempo, di dover usare la forza per ridurre la forza, ma di aumentare la propria potenza affinché l’altro non usasse la sua. Attorno ai due giganti polarizzati il resto del mondo orbitava ed ogni altro stato rispettava, ritenendola legittima, l’istituzionalizzazione di questa polarizzazione del potere. Successivamente al crollo dell’Urss l’ordine mondiale ha affrontato la tanto decantata “Fine della storia” propugnata da Fukuyama. Gli Stati Uniti divenivano ora gli unici garanti dell’equilibrio mondiale al solo patto con la neonata Russia di non estendere l’influenza della Nato ad Est. Ovviamente, come si sa, mediante il progetto Partnership for peace (Pfp) questo patto non fu rispettato dagli statunitensi.
Ad oggi sembra che si sia tornati, in un certo senso, ad una situazione precedente rispetto a quella della Guerra fredda, piuttosto che ad una sua nuova riedizione come molti sostengono. Se pensiamo che fino allo scorso gennaio il neo presidente Donald Trump si mostrava propositivo verso una riapertura alla Russia di Vladimir Putin, ed oggi è in procinto di innescare una nuova corsa agli armamenti, ci rendiamo conto che forse qualcosa è andato storto alla vecchia maniera; quella degli stati nazionali dello scorso secolo. All’inizio del suo mandato sembrava quasi si palesasse per l’Europa uno spostamento degli equilibri verso il fronte euroasiatico, lo stesso Putin si diceva favorevole, già in campagna elettorale, ad un riavvicinamento della Russia con lo storico rivale e, come si sa, dove vanno gli Stati Uniti va pure l’Europa. Ad oggi, in seguito ai recenti scandali in merito a contatti segreti tra la Russia e l’ormai ex ministro della Giustizia statunitense Jeff Sessions, la situazione tra i due colossi mondiali è tornata ad essere tesa. Ad aggravare la questione vi sono anche l’improvvisa propensione di Trump ad investire ingenti miliardi di dollari in nucleare, la minaccia conseguente di Putin di cancellare gli accordi circa i tagli sugli investimenti in plutonio.
Nonostante si parli di corsa agli armamenti e minacce legate alla logica della deterrenza, quello che sembra si stia verificando tra Putin e Trump è piuttosto un approccio orientato alla mobilitazione. A differenza della Guerra fredda non sembra esservi un’escalation agli armamenti, ma piuttosto una minaccia provocatoria che passa da ingenti investimenti sul nucleare, a conseguenti minacce di cancellare accordi o prendere misure. Se ripensiamo a come scoppiarono le due guerre mondiali, rischio oggi inesistente, per via dei meccanismi di tutela internazionale che sussistono, notiamo un’analoga logica della mobilitazione. Le pressioni sui rispettivi confini, gli embarghi, i dispetti e le intese segrete sembrano ricordare quanto accadde nel secolo scorso tra le potenze europee. Donalt Trump, inizialmente favorevole ad un’anticipata sollevazione della Russia dalle sanzioni, si dice oggi contrario e, guarda caso, l’Europa nonostante la sua non propensione al neo presidente Usa, paventa un prolungamento delle punizioni oltre il termine di giugno prossimo.
Sebbene apparentemente sembri di essere ripiombati nella Guerra fredda, se si osservano attentamente le dinamiche si nota che le grammatiche si avvicinano maggiormente a quelle dei conflitti europei che esplosero nei secoli scorsi, con al centro cause e motivazioni apparentemente futili. Due stati che fino ad un mese fa intendevano un riavvicinamento e che, improvvisamente, sono tornati a scambiarsi reciproche minacce ricordano molto le precarie alleanze tra gli stati nazionali del vecchio continente che hanno caratterizzato la storia moderna e gran parte della contemporanea.

* Articolo in mediapartnership con