di Giuseppe Gagliano –
Il Cremlino è tornato a chiedere la rimozione delle sanzioni come precondizione per qualsiasi normalizzazione delle relazioni con gli Stati Uniti. Ma dietro le dichiarazioni di Dmitry Peskov, portavoce del Cremlino, si cela una realtà ben più complessa: il braccio di ferro tra Mosca e Washington si gioca su più livelli, dalla guerra in Ucraina all’economia globale, passando per le strategie di lungo termine di entrambi i Paesi.
Dall’inizio della guerra in Ucraina la Russia ha dovuto affrontare il più imponente pacchetto di sanzioni economiche della storia moderna. Le restrizioni occidentali hanno colpito il settore bancario, le esportazioni di tecnologia, il commercio dei metalli rari e persino le finanze personali degli oligarchi russi.
Mosca ha reagito con un duplice approccio:
– Militarizzazione dell’economia: la produzione bellica è cresciuta esponenzialmente, trasformando la Russia in un’economia di guerra.
– Diversificazione commerciale: riduzione della dipendenza dall’occidente puntando su Cina, India, Medio Oriente e America Latina per il commercio energetico e industriale.
Tuttavia, nonostante l’apparente resilienza, il Cremlino non può permettersi un isolamento prolungato. La Russia ha bisogno di accedere ai mercati globali per mantenere la competitività dei suoi settori strategici. E qui entrano in gioco le sanzioni: sebbene Putin continui a dichiarare che la Russia può farne a meno, in realtà una riduzione delle restrizioni sarebbe altamente vantaggiosa per Mosca.
Dall’altro lato del tavolo c’è Washington, impegnata a ridefinire la propria postura nei confronti della Russia. Il report di Reuters secondo cui l’amministrazione americana starebbe preparando un piano per alleggerire le sanzioni su alcuni individui ed entità russe suggerisce che negli Stati Uniti ci sia un dibattito interno su come affrontare la questione russa.
Ma cosa potrebbe voler concedere Putin in cambio? Qui sta il vero nodo della questione.
La guerra in Ucraina è entrata in una fase di logoramento. Mosca ha consolidato le posizioni nei territori occupati, mentre Kiev, pur sostenuta dall’occidente, fatica a riconquistare terreno significativo. Il Cremlino sa che un conflitto senza fine potrebbe trasformarsi in un peso economico e politico insostenibile, soprattutto se la Cina dovesse ridurre il suo sostegno indiretto.
Se davvero gli Stati Uniti sono disposti a trattare sulle sanzioni, Putin potrebbe essere pronto a negoziare un cessate il fuoco che gli permetta di cristallizzare i guadagni territoriali ottenuti finora. Tuttavia, ogni compromesso su questo punto potrebbe scontrarsi con la determinazione di Kiev e dei suoi alleati europei, che vedrebbero un accordo di questo tipo come una vittoria di fatto per Mosca.
Un altro elemento cruciale nei negoziati è la dipendenza dell’occidente dalle risorse strategiche russe. Mosca controlla una fetta significativa del mercato globale di titanio, palladio e nichel, materiali fondamentali per l’industria aerospaziale, l’elettronica avanzata e le batterie elettriche.
Putin ha già lasciato intendere di essere pronto a usare queste risorse come leva negoziale. In un momento in cui gli Stati Uniti stanno cercando di ridurre la loro dipendenza dalla Cina per le terre rare, la Russia potrebbe offrirsi come fornitore alternativo in cambio di un alleggerimento delle sanzioni.
Nel mezzo di questo braccio di ferro l’Unione Europea rischia di rimanere prigioniera delle dinamiche tra Washington e Mosca. Da un lato, Bruxelles ha seguito fedelmente la linea statunitense sulle sanzioni. Dall’altro, alcuni Paesi europei, in particolare Francia e Germania, potrebbero essere tentati di sostenere un’apertura verso la Russia per proteggere le proprie economie e i propri interessi energetici.
Se gli USA dovessero davvero negoziare un allentamento delle restrizioni, l’UE si troverebbe di fronte a un bivio difficile: seguire la nuova linea americana o mantenere una politica di isolamento nei confronti di Mosca.
In questa fase, parlare di vittoria per la Russia sarebbe prematuro. Se è vero che l’economia russa ha resistito meglio del previsto, è altrettanto vero che le prospettive di crescita sono limitate e che il paese rischia di diventare sempre più dipendente da Cina e India.
L’apertura degli Stati Uniti a un possibile alleggerimento delle sanzioni non è un segnale di resa, ma una mossa strategica. Washington potrebbe essere disposta a fare concessioni, ma solo in cambio di qualcosa di molto concreto: un passo indietro sulla guerra in Ucraina o un accordo sulle risorse strategiche.
Per Putin il rischio è che un’intesa con gli USA possa incrinare i rapporti con Pechino, che fino ad ora ha garantito una rete di sicurezza economica alla Russia. Ma se le sanzioni dovessero rimanere, Mosca sarà costretta a rafforzare il proprio legame con la Cina, diventando sempre più un junior partner di Pechino.
Il Cremlino si trova davanti a una scelta difficile: cercare una via d’uscita dalle sanzioni accettando compromessi con Washington, oppure continuare sulla strada dell’isolamento, puntando tutto sull’asse con la Cina. Nel grande scacchiere geopolitico, la partita è ancora aperta.