Russia – Usa. Guerra Fredda secondo round. E quei 755 diplomatici che non ci sono

di Francesco Cirillo

La decisione del Cremlino di rispondere alle sanzioni votate la scorsa settimana dal Congresso degli Stati Uniti appaiono come il preludio a una nuova Guerra Fredda. Dopo il 1991 molti analisti immaginavano la fine delle tensioni e credevano in una nuova Russia democratica, liberale e integrata nel sistema occidentale. Ma l’avvento di Vladimir Putin al Cremlino ha congelato il processo. Nel presente si sta delineando una nuova Guerra Fredda, in cui Mosca e Washington non vogliono arretrare su nessun tema internazionale.

L’Europa e la crisi Ucraina.
La tensione principale tra Mosca e Washington è dovuta alle crisi dell’Ucraina orientale e della Crimea. Il cambio di regime avvenuto a Kiev dopo l’Euromaidan e l’annessione russa della Crimea nel 2014 ha riacceso le tensioni in Europa orientale: per il Cremlino il governo filo-occidentale del post-maidan è un regime fascista, appoggiato dal dipartimento di Stato statunitense. Difatti il governo del presidente ucraino Petro Poroshenko non è riconosciuto da Mosca. Dopo la rivoluzione ucraina Mosca ha reagito con l’occupazione della penisola di Crimea, oltretutto sede della Flotta russa del Mar Nero. Oltre alla Crimea il Cremlino appoggia indirettamente le milizie filo-russe del Donbass. La crisi ucraina non è l’unico problema che c’è tra la Russia e gli Usa. Le nuove sanzioni approvate dal Congresso sono legate alla probabile interferenza russa nelle elezioni statunitensi del 2016. Molti ipotizzano che il Cremlino si sta preparando ad interferire nelle elezioni tedesche del 2017.

Il Medio Oriente e il Mediterraneo.
L’intervento di due anni fa ha riportato Mosca in Medio Oriente. La regione è nel caos dal 2011, anno in cui scoppiò la guerra civile siriana. Dal 2014 si è affacciato l’Isis, organizzazione terroristica nata dopo la sua scissione con al-Qaeda orfana di Osama Bin Laden, ucciso nel maggio del 2011 dalle forze speciali statunitensi nel suo compaund pakistano. La destabilizzazione portata dall’Isis ha costretto gli Usa ha ritornare in Iraq e, con la presidenza Trump, ad appoggiare le forze curde in Siria che stanno assediando la capitale siriana del Califfato, Raqqa. Mosca non è rimasta a guardare. Nel 2015 ha deciso di intervenire direttamente in Siria, al fianco del presidente siriano Bashar al-Assad. Insieme all’Iran e alle milizie libanesi di Hezbollah in due anni le truppe di Damasco hanno riportato notevoli successi e ripreso il grosso del territorio siriano. Con la Siria, Mosca ha ratificato accordi di cooperazione militare. La Russia ha una base aerea a Latakia, una navale a Tartus e quella di Hmeimim che Damasco ha dato ai russi per un periodo di uso gratuito di 49 anni. Il Cremlino punta a rimanere in Medio Oriente.

La reazione di Mosca: da settembre via 755 diplomatici
Non si è fatta attendere la reazione alle sanzioni. Durante una intervista ad una tv di Stato russa il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato che gli Usa dovranno ridurre da settembre 2017 il personale diplomatico. Quasi 755 membri dello staff dovranno lasciare la Russia. Secondo il Cremlino lo staff Usa scenderà a 455, stesso numero dello staff diplomatico russo attualmente presente nelle sedi consolari e diplomatiche della Russia in territorio statunitense. Il Washington Post però mette in dubbio le cifre pronunciate dal capo del Cremlino. Secondo il quotidiano statunitense, che ha citato dati del dipartimento di Stato, afferma in Russia ci sono 1.200 persone suddivise in:
Personale americano in trasferta: 289 persone
Personale americano in loco: 44 persone
Personale di altra nazionalità (in gran parte russo): 867 persone.
La domanda è la seguente: a chi si riferisce il presidente russo quando dice che 755 persone, membri dello staff diplomatico americano, dovranno lasciare la Russia?

Personale Usa impiegato in Russia. (Fonte Washington Post).