Russiagate. Trump “chiede” a Sessions di ‘bloccare’ Mueller

di Guido Keller

Nel pieno del processo a Paul Manafort, il presidente Usa Donald Trump ha chiesto pubblicamente attraverso un tweet all’Attorney general, cioè il ministro della Giustizia, di “bloccare l’inchiesta di Mueller”, un procuratore speciale “in pieno conflitto di interessi” che opera “con 17 rancorosi democratici che sono la disgrazia dell’America”. Non è la prima volta che Sessions viene messo sotto pressione da Trump minacciandone il licenziamento, una prassi alla Casa Bianca dove segretari e team rischiano di durare poche settimane, ma la cosa è sintomo di un nervosismo palpabile del presidente.
Il caso è quello del Russiagate e risale al giugno 2016, quando hacker russi improvvisamente divulgarono in piena campagna elettorale oltre 20mila email del partito democratico che portarono alla luce un’operazione del comitato centrale, che avrebbe dovuto essere neutrale, volta a screditare il candidato alle primarie Bernie Sanders a vantaggio della Clinton. Lo scandalo fece crollare in breve tempo il vantaggio dell’ex segretario di Stato su Trump di ben 9 punti.
Contatti tra lo staff di Trump e i russi ci furono certamente, ormai nessuno osa affermare il contrario, ma quanto la cooperazione con il “nemico”, sempre negata da Trump e dal leader russo Vladimir Putin, è stata profonda e cosa è stato dato in cambio del possibile aiuto alle elezioni?
Una dozzina di russi sono già stati rinviati a processo negli Usa per le interferenze, ma ora il procuratore Robert Mueller vuole vederci chiaro sugli uomini del presidente.
Manafort, il numero uno della campagna elettorale di Trump che interagiva con il faccendiere Rick Gates, è risultato essere stato sul libro paga del partito filorusso dell’ex presidente ucraino Viktor Yanukovich (consulenze per 12,7 milioni di dollari) e per un affare da 18 milioni di dollari inerente la vendita di partecipazioni della tv via cavo ucraina a una società creata in partnership tra lo stesso Manafort e un oligarca russo, Oleg Deripaska, vicino al presidente russo Vladimir Putin.
Stando alle accuse i due avrebbero fatto transitare sui loro conti più di 75 milioni di dollari, e Manafort con l’aiuto di Gates avrebbe riciclato oltre 30 milioni di dollari, “reddito che è stato nascosto al dipartimento del Tesoro e al dipartimento di Giustizia”. Manafort continua a dichiararsi non colpevole, mentre Gates lo ha fatto fino ad oggi.
Agli inizi di dicembre si era dichiarato colpevole l’ex consigliere presidenziale Michael Flynn, da subito silurato per aver promesso (in cambio di cosa?) all’ambasciatore russo a Washington Sergey I. Kislyak l’eliminazione delle sanzioni al suo paese.
Gli altri nomi del Russiagate sono quelli del genero di Donald Trump, Jared Kushner, il quale è anche consigliere del presidente: accanto alle indagini sui contatti di Kushner con l’ex consigliere Michael Flynn, il procuratore speciale ha messo le mani sui capitali attratti dalla sua azienda immobiliare, la Kushner Companies, provenienti dalla Russia e dalla Cina.
Poi vi è lo stesso ministro della Giustizia Jeff Sessions, il quale anche in gennaio è stato riascoltato dalla stessa commissione senatoriale dove ancora una volta ha negato sotto giuramento di avere avuto rapporti con i russi durante la campagna elettorale, mentre l’Fbi continua a dirsi certa di avere le prove di almeno tre incontri dell’Attorney General con l’ambasciatore russo Kislyak.
Gli altri nomi sono quelli del consigliere politico del presidente e figura di primissimo piano alla Casa Bianca Stephen Miller, il quale è stato interrogato da Mueller in merito al siluramento del 9 maggio 2017 del capo dell’Fbi James Comey, che stava indagando proprio sulla collaborazione dello staff del presidente con i russi; dell’ex capo stratega della Casa Bianca, Steve Bannon, il quale ha definito in una dichiarazione sul nuovo libro di Michael Wolff “sovversivo” e “antipatriottico” l’incontro tra il figlio di Trump, Donald jr., e un gruppo di russi avvenuto durante la campagna elettorale del 2016 alla Trump Tower; di Donald Trump Jr., il quale avrebbe ha incontrato il 9 giugno 2016 l’avvocata russa Natalia Veselnitskaya, considerata vicina al Cremlino, per ottenere informazioni utili a screditare in campagna elettorale la concorrente Clinton. Erano addirittura “avidi” di informazioni, ha detto Veselnitskaya in un’intervista alla Nbc.