Sono immigrato, non sono una vittima

Una storia fatta di porte che si chiudono e opportunità che si aprono.

di Sebastian Hidalgo –

Un argomento attuale
Nel 2019 non c’è un argomento più scottante dell’immigrazione. Lo troviamo nelle nostre bacheche Facebook tutti i giorni, leggiamo a riguardo sui giornali, ne sentiamo parlare alla radio e le persone ne discutono in TV, nei podcast e nei libri. L’immigrazione è così scottante che molti di quelli che ne parlano si bruciano al punto da vedere la loro carriera (o la loro vita sociale) andare in cenere davanti ai loro occhi.

Disclaimer
La politica non mi interessa. In nessun modo. Il sistema è rotto a livello globale, non ripongo nessuna fede nei politici e non mi interessa a chi dai il tuo voto o cosa pensi dell’immigrazione in generale. Questo articolo è il punto di vista di un vero migrante, nulla di più e nulla di meno. Perciò, se vuoi sentirti offeso perché tocco tasti dolenti (soprattutto se vieni dal Venezuela), sei libero di farlo.

Un po’ di contesto
Sono nato in Venezuela da una madre venezuelana e da un padre italiano.
Ci siamo trasferiti in Italia nel 2005 dopo che Hugo Chavez decise che la democrazia non faceva per lui e violò la segretezza del voto, condannando così chiunque avesse votato contro di lui – proprio come i miei genitori.

La vita è imprevedibile.
I miei erano stati in Italia negli anni Novanta ma non avevano nessuna intenzione di viverci… almeno fino al 2004, quando il governo tolse loro il lavoro e mio padre dovette separarsi da noi e trasferirsi nel nord Italia per cercare un futuro migliore per me e mia madre.

Era agosto del 2004.
Ci siamo trasferiti nel gennaio del 2005. Avevo 10 anni.

Sulla difficoltà di andarsene
Se pensi che cambiare città sia difficile, prova ad immaginare cambiare nazione, lontano da amici, parenti e dalla tua cultura. Se sei un adulto come lo era già mia madre all’epoca, è difficile eccome, ma lo fece comunque.
Nemmeno per i bambini è una passeggiata, ma è comunque molto più facile.
In fin dei conti, ero con mia madre e mio padre mi stava aspettando.
I parenti torni a trovarli, e gli amici resteranno tali. La vita è semplice quando sei piccolo.
Le lezioni di geografia internazionale non esistono nella scuola elementare venezuelana, ed oltre a non avere la più pallida idea di dove fosse l’Italia, non sapevo dire una parola d’italiano che non fosse “ciao” – che era già strano abbastanza per me, visto che nel mio Paese si usava per salutarsi a fine di un incontro, mentre gli italiani lo usano per salutarsi all’inizio, per accogliersi.

Nascere di nuovo
Trasferirsi in un Paese straniero è come nascere di nuovo.
I castelli che prima esistevano solo su History Channel erano di colpo reali.
Gli altri bambini avevano un senso dell’umorismo che non comprendevo.
Le persone parlavano una lingua che non riuscivo a capire.
Ho sentito il freddo glaciale del mio primo inverno.
Le persone si vestivano in modo diverso.
La pizza aveva tutto un altro sapore.
Assaggiai la neve per la prima volta.
La scuola non era difficile.
Nulla è veramente “difficile” quando siamo piccoli, è tutto una semplice sfida che affrontiamo senza nemmeno pensarci, e la scuola era questo: una sfida. Dovetti imparare l’italiano ed in contemporanea frequentare lezioni di inglese e tedesco, entrambe lingue con le quali non avevo mai avuto nulla a che fare.
Mia madre mi aiutava coi compiti a casa usando internet perché nessuno dei due sapeva una l’italiano, e mio padre lavorava per migliorare la nostra situazione di giorno in giorno.

Una benedizione nascosta
Se mi guardo indietro, penso che ne sia valsa la pena, e sono sicuro che i miei sarebbero d’accordo.
Il trasferimento ha reso la mia vita migliore. Il trasferimento ha salvato me, come molti altri, dalla realtà apocalittica che le persone del mio Paese vivono, mettendomi allo stesso tempo in posizione di aiutarli – fosse anche solo diffondendo notizie a riguardo.
Adesso, quattordici anni dopo essermi trasferito in un Paese che mi ha dato parecchie opportunità e che mi ha permesso di raggiungere diversi sogni ed obiettivi, sto per trasferirmi da un’altra parte per seguire altri sogni ed ho in mente di spostarmi ancora, più avanti, per lo stesso motivo.
Vivere in un Paese diverso non mi ha ingabbiato. Mi ha liberato.

Vittimismo
Ad oggi ho incontrato molti immigranti da parecchi posti diversi.
Ne ho persino aiutati un paio che venivano dalla mia stessa città, e sai cosa? Ho avuto problemi a legare con loro. Ho perso quegli amici, e sono certo che sia successo per un solo motivo: la mentalità.
Molti immigrati venezuelani che ho incontrato qui in Italia, così come tanti con cui ho parlato che vivono in altri posti, non fanno altro che restare fermi nella loro parte delle vittime.
Vogliono essere compatiti.
Vogliono che le persone si sentano male per la loro situazione.
Lo vogliono talmente tanto che finiscono per sprecare opportunità e rovinare il loro futuro. Smettono di crescere e di evolversi, e nel tentativo di custodire l’amore per ciò ce sono, si isolano da ciò che potrebbero essere.
Amico immigrato, smettila di ridurre la tua persona al Paese da cui vieni.
Pensi che sia stato difficile andartene, ma ti sei mai chiesto cosa sarebbe successo se fossi rimasto? Hai mai pensato a quanto potrebbe essere difficile rimanere?

Sulla difficoltà di restare
Se pensi che cambiare città sia difficile, prova a restarci per tutta la vita. Prova a non vedere altri posti, non vivere altre culture.
Prova a nuotare sempre nella tua bella piscina mentre ti perdi l’oceano.
Trasferirsi sarà anche difficile, ma è un’esperienza mentalmente dirompente nel più positivo dei sensi. Ti apre a nuove realtà e pensieri che altrimenti non avresti mai conosciuto. Nuove abilità si fanno strada nella tua testa e restano lì senza che tu te ne accorga.

Un immigrato completamente integrato è una creatura affascinante che ha due “identità” ma al contempo non ne ha nessuna. È qualcuno che riesce a trascendere i concetti come confini, ideologie e razze per abbracciare il semplice essere umani in un mondo pieno di mondi diversi.
Se sei un immigrato non fare la vittima: abbraccia le opportunità che il tuo nuovo mondo ti offre.
Rispetta le leggi del Paese in cui vivi.
Crea legami con la gente locale, accetta la loro cultura e falla tua.
Rimani legato alle tue radici, ma non usarle come pretesto per respingere altri stili di vita.
E se non sei un immigrato, prova a non vedere gli immigrati come vittime o nemici, perché sono proprio come te: esseri umani che hanno la responsabilità di scoprire il potenziale inesplorato di cui sono pieni.