Sud Sudan. A due anni dalla nascita il paese non decolla: povertà e dissapori con Khartoum

di Giacomo Dolzani –

sud sudan petrolio kiir grandeSono passati due anni dalla nascita del Sud Sudan, avvenuta il 9 luglio 2011 in seguito ad un referendum popolare che sancì la secessione dei territori meridionali del Sudan dalla madrepatria, portando alla creazione del nuovo Stato con capitale Giuba.
Gli avvenimenti che hanno portato alla scissione del Sud Sudan da Khartoum sono una lista di innumerevoli fatti di sangue, persecuzioni, diritti negati e soprusi ai danni della popolazione di quelle che erano le province meridionali del Sudan da parte dell’esercito e di gruppi paramilitari, costituiti da uomini arruolati tra i membri di tribù rivali, spesso armati ed addestrati dal governo centrale per uccidere chi combatteva per l’indipendenza.
Il Sudan, nonostante alcune regioni in cui sussistono ancora religioni animiste, è infatti uno Stato la cui popolazione è per la maggioranza di fede musulmana e proprio in questa il governo ha la sua base di consensi; nelle regioni che sarebbero poi diventate il Sud Sudan, la gran parte della popolazione è invece cristiana.
Questa mescolanza di culti è stata quindi spesso utilizzata da Khartoum come pretesto per appoggiare i guerriglieri islamisti nei conflitti in atto in province di particolare importanza economica o strategica come il Darfur o il Sud Kordofan, dove le spinte autonomiste dei gruppi etnici locali rischiano di intaccare il controllo governativo sulle risorse naturali presenti nel sottosuolo, portando spesso al compimento di massacri ai danni della popolazione autoctona.
Le persecuzioni si sono svolte con particolare violenza e perseveranza in Sudan del Sud, portando ad una vera e propria guerra civile, in quanto nel suo sottosuolo erano presenti l’80% dei giacimenti petroliferi sudanesi, oggi sono sotto il controllo di Giuba.
Dopo anni di violenze, nel 2005 sono infine stati firmati gli accordi di pace tra Khartoum ed i rappresentanti dell’Spla, l’Esercito di Liberazione del Sud Sudan, a capo del quale si trovava l’attuale presidente sudsudanese Salva Kiir Mayardit; in questi era prevista anche l’indizione di un referendum, tenutosi il 9 luglio di sei anni dopo, in cui gli abitanti delle province interessate potessero decidere se rimanere sotto il dominio di Khartoum o vivere in un proprio stato indipendente: la maggioranza popolazione decise per quest’ultima opzione.
Nonostante il successo del referendum e la tanto agognata indipendenza, non si può però dire che i primi anni di vita della neonata nazione si siano rivelati facili; dopotutto le premesse non erano delle migliori: i gruppi di ribelli armati continuano tuttora ad imperversare in gran parte del territorio nazionale, la popolazione è alla fame ed in balia di carestie ed epidemie, quella del Sud Sudan è una delle economie più fragili del globo in quanto fondata unicamente sui proventi derivanti dalla vendita del petrolio, le infrastrutture sono praticamente inesistenti su tutto il territorio nazionale, se si escludono gli oleodotti che conducono il greggio verso nord, mentre non è presente alcuno sbocco sul mare.
La vita del giovane paese è stata però caratterizzata principalmente dalle continue dispute con il vicino Sudan, con il quale dopo la secessione sono rimaste aperte importanti questioni.
La prima riguarda la definizione di alcuni tratti di confine in quanto degli importanti distretti petroliferi si trovano proprio in corrispondenza della frontiera, come la città di Abyei, già bombardata dai caccia sudanesi e teatro di scaramucce tra i due eserciti.
La seconda e più importante è relativa alla spartizione tra Giuba e Khartoum dei proventi derivanti dalla vendita del petrolio sudsudanese. Per esportare il proprio greggio infatti il Sud Sudan deve utilizzare gli unici oleodotti di cui dispone e che conducono unicamente verso nord, in direzione di Port Sudan, città sudanese, dove vengono riempite le petroliere battenti la bandiera del Sud Sudan, ma ormeggiate in un porto straniero.
Sfruttando questo grande handicap dello Stato vicino il governo di Khartoum ha quindi imposto una pesante tassa su ogni barile di petrolio transitato attraverso i propri oleodotti pari a 32 dollari, che Giuba si disse disponibile a pagare solo in minima parte, rifiuto che causò la dura reazione delle autorità sudanesi che, come risarcimento per i mancati pagamenti, posero sotto sequestro due navi sudsudanesi ormeggiate appunto a Port Sudan.
In risposta a questi atti intimidatori il neo presidente Salva Kiir impose di interrompere la produzione di greggio, con l’intenzione di danneggiare il rivale ma ottenendo soltanto l’azzeramento delle proprie entrate statali.
Per scongiurare un ulteriore aggravarsi della crisi, sotto la spinta della comunità internazionale i presidenti dei due paesi si incontrarono in una serie di vertici ad Addis Abeba. Nella capitale etiope venne raggiunto un precario accordo che consentì la ripresa dell’estrazione dei greggio oltre alla creazione di una fascia cuscinetto larga 20km smilitarizzata in corrispondenza della frontiera tra i due stati.
In seguito si assistette ancora ad atti intimidatori simili, più o meno gravi, uniti a scaramucce ai confini ma un equilibrio, anche se molto instabile, sembrava essersi raggiunto ed è durato fino a circa un mese fa. Il 9 giugno scorso infatti il presidente sudanese, Omar al-Bashir (con turbante e tunica), annunciò al suo omologo sudsudanese, Salva Kiir (con giacca e cravatta e cappello da cow-boy,) che il petrolio di Giuba non sarebbe più transitato attraverso gli oleodotti del suo paese, interrompendo di fatto l’unica attività economica che forniva un sostentamento il neonato Stato, blocco che continua ancora oggi.
Secondo Khartoum infatti il governo del Sud Sudan starebbe addestrando ed armando i ribelli che combattono in Sud Kordofan, provincia sudandese con considerevoli riserve petrolifere, contro l’esercito regolare sudanese.
A due anni dall’indipendenza quindi il bilancio dei risultati ottenuti in campo economico e sociale non può sicuramente considerarsi positivo, le tensioni interne e le lotte armate non si sono infatti placate e chi prima era perseguitato sotto il dominio sudanese ora si è trasformato in aguzzino delle minoranze presenti sul proprio territorio.
A riassumere in poche parole la situazione ci pensano i cosiddetti “Amici del Sudan del Sud”, funzionari governativi fautori dell’indipendenza di Giuba come John Prendergast, Roger Winter e Ted Dagne, autori di una petizione in cui si dichiara che a fronte di “prove evidenti di corruzione massiccia […] molta gente in Sudan del Sud soffre, mentre i membri del governo sembrano non pensare che a se stessi”.