Suicidio assistito. La Corte costituzionale, ‘Decida il giudice caso per caso’

di Mariarita Cupersito

La Corte Costituzionale torna a pronunciarsi sul fine vita con una sentenza, pubblicata nella giornata di giovedì 18 luglio, che in assenza di una legge che disciplini compiutamente la materia segna una svolta decisiva nel riconoscimento dei diritti di chi non possiede più l’autonomia vitale, ritrovandosi così a dipendere da macchine o da assistenza fisica per la propria sopravvivenza.
La più importante novità consiste nell’ampliamento da parte della Consulta del riferimento ai “trattamenti di sostegno vitale”, che costituiscono uno dei quattro requisiti per poter accedere al suicidio assistito come stabiliti nella precedente sentenza n. 242 del 2019 ( relativa al caso di Dj Fabo, tetraplegico a seguito di un incidente, che decise di morire in una clinica svizzera nel 2017 con il suicidio assistito), i quali sono confermati e devono essere accertati, con modalità procedurali fissate dalla stessa sentenza, dal servizio sanitario nazionale.
La Corte Costituzionale precisa infatti che la nozione di “trattamenti di sostegno vitale” deve essere interpretata dal servizio sanitario nazionale e dai giudici “in conformità alla ‘ratio’ della sentenza del 2019”, ricordando che tale sentenza “si basa sul riconoscimento del diritto fondamentale del paziente a rifiutare ogni trattamento sanitario praticato sul proprio corpo, indipendentemente dal suo grado di complessità tecnica e di invasività”.
La nozione di “trattamenti di sostegno vitale”, prosegue la Consulta, “include quindi anche procedure quali, ad esempio, l’evacuazione manuale, l’inserimento di cateteri o l’aspirazione del muco dalle vie bronchiali, normalmente compiute da personale sanitario, ma che possono essere apprese anche da familiari o ‘caregivers’ che assistono il paziente, sempre che la loro interruzione determini prevedibilmente la morte del paziente in un breve lasso di tempo”. I giudici hanno inoltre evidenziato che, per l’accesso al suicidio assistito, “non vi può essere distinzione tra la situazione del paziente già sottoposto a trattamenti di sostegno vitale, di cui può chiedere l’interruzione, e quella del paziente che non vi è ancora sottoposto, ma ha ormai necessità di tali trattamenti per sostenere le sue funzioni vitali. Dal momento che anche in questa situazione il paziente può legittimamente rifiutare il trattamento, egli si trova già nelle condizioni indicate dalla sentenza n. 242 del 2019”
Viene inoltre stabilito dalla Corte Costituzionale che i giudici dovranno valutare casisticamente le singole vicende giudiziarie concernenti il suicidio assistito. Spetterà dunque al giudice, nella sua autonomia, valutare “sulla base dei principi espressi nella sentenza già emessa nel 2019, se una persona è incriminabile in merito alla pratica del suicidio assistito”.
La Consulta ha infine espresso “il forte auspicio che il legislatore e il Servizio sanitario nazionale assicurino concreta e puntuale attuazione ai principi fissati dalla propria precedente sentenza, fermo restando la possibilità per il legislatore di dettare una diversa disciplina, nel rispetto dei principi oggi richiamati”, ribadendo così l’urgente appello, già esternato in altre occasioni, “affinché sia garantita a tutti i pazienti una effettiva possibilità di accesso alle cure palliative appropriate per controllare la loro sofferenza”.