Super Sunday africano: si è votato in sei paesi

di C. Alessandro Mauceri

sall mackyIeri è stato il Super Sunday africano: si è votato in sei paesi africani: in Congo-Brazzaville, Niger, Zanzibar e Benin si sono svolte le presidenziali. A Capo Verde ci sono state le elezioni parlamentari e in Senegal si è votato per il referendum. E le sorprese non sono mancate.

In Niger il presidente Mahamadou Issoufou è dato per favorito, dopo aveva raggiunto il 48 per cento delle preferenze al primo turno delle elezioni. Il suo diretto concorrente, Hama Amadou, che aveva ottenuto il 18 per cento dei voti al primo turno, è ricoverato in un ospedale in Francia. A novembre, era stato arrestato con l’accusa di traffico di bambini, ma in prigione la sua salute era peggiorata e una settimana fa è stato trasferito a Parigi per ricevere cure mediche. Le elezioni in questo paese sono state seguite con grande attenzione da molti esperti internazionali dopo che la regione del Sahel è diventata uno dei teatri di guerra, presidiato giorno e notte da droni e forze speciali soprattutto francesi e statunitensi. “C’è la possibilità”, ha detto Manfredi, scrittore, giornalista ed esperto di Sahel ed Africa occidentale, “che la Francia stia cercando di evitare problemi di immagine alla fase elettorale. L’opposizione si era chiamata fuori dal ballottaggio gridando ai brogli. Ora il governo può sostenere di avere fatto uscire Amadou dal carcere e di averlo fatto evacuare, anche se la situazione resta confusa”.
Anche in Benin si è votato per il secondo turno delle presidenziali. Lionel Zinsou, ex banchiere e attuale primo ministro che alle elezioni del 6 marzo aveva ottenuto il 28 per cento dei voti, è stato sconfitto da Patrice Talon, imprenditore del cotone. Al ballottaggio Talon ha ottenuto il 64,8 quasi il doppio delle preferenze andate a Zinsou (35,2 per cento). Nel 2012 proprio Talon era stato accusato di aver organizzato un complotto contro il presidente. Fuggito in Francia per evitare l’arresto, è tornato lo scorso anno, dopo avere ricevuto il perdono presidenziale.

A Capo Verde, arcipelago a 500 chilometri dalle coste dell’Africa occidentale, a contendere la vittoria sono due partiti, diretti antagonisti da più di 40 anni: il Partito Africano per l’Indipendenza di Capo Verde e il Movimento per la Democrazia. I primi sondaggi danno come favorito il Movimento per la Democrazia guidato dal presidente Jorge Carlos Fonseca, che dovrebbe riuscire a battere, seppure di misura, il premier Jose Maria Neves dell’African Party for the Independence of Cape Verde (PAICV).

Ben più accesa la disputa alle elezioni in Congo Brazaville. Il presidente Denis Sassou Nguesso, al potere dal 1997 (ma si è trattato solo di una pausa: il suo primo successo risale addirittura al 1979), ha varato misure restrittive straordinarie come la chiusura di tutte le telecomunicazioni per evitare “pubblicazioni illegali dei risultati”, il divieto dell’uso dei veicoli a motore e altro, cose che fanno temere interferenze sul voto. Paure rafforzate dalla decisione di far convocare dalla polizia presso un commissariato locale il diretto antagonista, l’ex generale Jean-Marie Michel Mokoko. Nguesso si è candidato solo grazie alla modifica della Costituzione resa possibile da un referendum popolare che rimosso il limite di età a 70 anni (Nguesso ne ha 72) e alla riduzione del mandato presidenziale da sette a cinque anni.

Nello Zanzibar, arcipelago autonomo della Tanzania che gode di parlamento e presidente indipendenti, il posto di presidente è stato conteso da Ali Mohamed Shein, del partito Chama Cha Mapinduzi, presidente uscente, e Seif Sharif Hamad del Fronte Civico Unito (CUF). Delle elezioni nel paese si era parlato ad ottobre scorso a causa degli scontri che si erano verificati e che erano stati sedati dalle forze dell’ordine (la tornata elettorale era stata annullata anche se Hamad aveva dichiarato di avere vinto le elezioni). Per questo, l’opposizione ha invitato i cittadini a boicottare le elezioni. Cosa che, inevitabilmente, ha favorito la rielezione di Mohamed Shein che ha ottenuto il 91,4 per cento dei voti.

Diversa la situazione in Senegal dove i cittadini sono stati chiamati alle urne per una consultazione popolare. Il referendum aveva come oggetto la limitazione a due mandati dell’incarico di presidente della Repubblica. Un limite che, in ogni caso, non impedirà all’attuale presidente Macky Sall di ricandidarsi per il terzo mandato, dato che entrerebbe in vigore alle prossime presidenziali. Per questo, molti hanno visto il referendum proposto dal presidente Macky Sall più come un test della sua popolarità che altro.
Di tutte queste elezioni si è parlato a Londra, la scorsa settimana, in occasione del convegno annuale del Comitato consultivo internazionale per le elezioni (International Elections Advisory Council, IEAC). I più autorevoli esperti in materia di elezioni provenienti dall’Africa, dall’Asia, dall’Europa e dalle Americhe si sono riuniti per valutare se la tecnologia può contribuire al rafforzamento della democrazia su scala globale. Una tesi che si scontra con il rifiuto di molti paesi di ricorrere a sistemi il di conteggio elettronico, preferendo conteggio manuale. La decisione è stata presa dopo che, in Kenia, l’IEBC (The Independent Electoral and Boundaries Commission) ha dichiarato un rallentamento del sistema fino a ipotizzare un possibile crash dei server, spingendo le autorità ad abbandonare il progetto iniziale.

Nella foto: il presidente senegalese Macky Sall.