Taiwan. Gli Usa mandano due navi da guerra. Per Pechino è “sabotaggio”

di Guido Keller

Solo poche settimane fa la portavoce della Camera Usa, Nancy Pelosi, aveva compiuto il gesto di recarsi in visita a Taiwan, suscitando le ire della Repubblica Popolare Cinese ma anche della Casa Bianca. D’altronde, era stato spiegato, rientrava nelle prerogative della presidente della Camera recarsi dove più avesse ritenuto opportuno, ma la risposta di Pechino era stato lo sfoggio di muscoli con poderose operazioni navali e aeree proprio nello Stretto di Taiwan.
Bisogna infatti tenere presente che la Repubblica di Cina (Taipei) e la Repubblica Popolare Cinese (Pechino) si considerano a vicenda secessioniste dopo che nel 1949 fu sconfitto il Kuomintang e Taipei venne proclamata capitale di tutta la Cina, come pure il fatto che quando la Repubblica Popolare Cinese aderì all’Onu, nel 1971, le varie nazioni tolsero il riconoscimento a Taiwan, che oggi ha relazioni diplomatiche con 13 paesi, cioè Belize, Guatemala, Haiti, Honduras, Isole Marshall, Nauru, eSwatini, Santa Sede, Tuvalu, Saint Lucia, Saint Kittis e Nevis e Paraguay. Alcuni governi, tra cui quello degli Stati Uniti, hanno attivato a Taiwan un ufficio commerciale, una sorta di rappresentanza che tuttavia non ha le funzioni di una sede diplomatica.
Nel luglio 2019 il Libro Bianco stabilito al Congresso del Popolo della Repubblica Popolare Cinese ha riportato il proposito di annettere Taiwan anche a costo di intraprendere azioni di forza, e da allora Pechino ha mostrato i muscoli inviando navi ed aerei fino ai confini di Taiwan.
In questo quadro Taiwan, che ha come leader la presidente Tsai Ing-wen, ha aumentato per quest’anno il budget delle spese militari portandolo a 17,07 miliardi di dollari, denaro finalizzato all’acquisto di armi ed armamenti dagli Usa tra cui aerei da combattimento, missili teleguidati e droni, e gli Usa hanno aumentato le istallazioni missilistiche da difesa fra cui il dispiegamento delle batterie Patriot.
Per i prossimi mesi sono comunque attedi a Taipei esponenti dei governi canadese, tedesco e britannico, benzina sul fuoco per Pechino.
Per contrastare la presenza cinese nell’area da tempo gli Usa inviano navi motivando la missione con la libertà di movimento nelle acque internazionali e quindi con il mantenere le rotte navali aperte, e in questi giorni due navi da guerra statunitensi si sono introdotte nello Stretto di Taiwan per, come riporta la nota della Marina, “dimostrare l’impegno degli Stati Uniti per una regione indo-pacifica libera e aperta”, “in linea con la politica di “Una Cina unica”” appoggiata dalla Casa Bianca.
Una mossa alla quale Pechino, che ha monitorato il passaggio delle due navi, ha risposto parlando di “provocazione”, “altro che libertà e apertura!”. Il portavoce del ministero degli Esteri cinese Zhao Lijian ha protestato parlando di “sabotaggio della pace e della stabilità della regione”, mentre il portavoce del Comando orientale dell’Esercito di Liberazione cinese Shi Yie ha ricordato che “Le truppe restano in stato di massima allerta e sono pronte in ogni momento a sventare qualsiasi provocazione”.