Taiwan. La visita (non confermata) di Nancy Pelosi provoca gli strali di Pechino

La guerra tuttavia è sempre più vicina.

di Enrico Oliari

La speacker della Camera dei rappresentanti Usa, Nancy Pelosi, si recherà (ma mancano ancora le conferme ufficiali) il prossimo 10 aprile in visita a Taiwan, dopo essere stata due giorni in Giappone. Un’iniziativa che ha già provocato le proteste di Pechino e che è stata definita dal portavoce del ministero degli Esteri, Zhao Lijian, “una provocazione” in quanto rappresenta “una grave violazione della sovranità e dell’integrità territoriale” della Cina.
Lo scopo di Pelosi sarebbe quello di dimostrate a Taipei la vicinanza degli Usa in caso di aggressione militare della Cina, magari approfittando della scontata neutralità della Russia al Consiglio di sicurezza dell’Onu, esattamente come ha fatto Pechino sulla guerra della Russia in Ucraina.
Stando a quanto ribadito in più occasioni dal ministro degli Esteri cinese Wang Yi, l’invasione di Taiwan sarebbe solo una questione di tempo, ed è stata scritta con inchiostro indelebile nel luglio 2020 nel programma di politica estera del Libro Bianco, in cu viene sottolineata la necessità che la Repubblica di Cina, cioè Taiwan, ritorni alla Repubblica Popolare Cinese “anche attraverso l’uso offensivo dello strumento militare”.
Diversi analisti danno come certa la guerra entro il 2025, e specialmente negli ultimi mesi continuano a susseguirsi sorvoli e sconfinamenti di caccia J-16 e J-11, nonché a transitare navi militari cinesi tra cui la portaerei Shandong.
Per comprendere la complessità della questione bisogna tenere presente che la Repubblica di Cina (Taipei) e la Repubblica Popolare Cinese (Pechino) si considerano a vicenda secessioniste dopo che nel 1949 fu sconfitto il Kuomintang e Taipei venne proclamata capitale di tutta la Cina, come pure il fatto che quando la Repubblica Popolare Cinese aderì all’Onu, nel 1971, le varie nazioni tolsero il riconoscimento a Taiwan, che oggi ha relazioni diplomatiche con 13 paesi, cioè Belize, Guatemala, Haiti, Honduras, Isole Masrhall, Nauru, eSwatini, Santa Sede, Tuvalu, Saint Lucia, Saint Kittis e Nevis e Paraguay. Alcuni governi, tra cui quello degli Stati Uniti, hanno attivato a Taiwan un ufficio commerciale, una sorta di rappresentanza che tuttavia non ha le funzioni della sede diplomatica.
In questo quadro Taiwan, che ha come leader la presidente Tsai Ing-wen, ha aumentato per quest’anno il budget delle spese militari portandolo a 17,07 miliardi di dollari, denaro finalizzato all’acquisto di armi ed armamenti dagli Usa tra cui aerei da combattimento, missili teleguidati e droni.
In conferenza stampa il portavoce del ministero degli Esteri della Repubblica Popolare Cinese, Zhao Lijian, ha insistito sul fatto che “se gli Usa intendono insistere con questa politica, ne pagheranno le conseguenze, dal momento che intendiamo difendere la nostra sovranità e la nostra integrità territoriale”. Zhao ha inoltre avvertito che la visita di Pelosi a Taiwan rappresenta “un messaggio sbagliato indirizzato alle forze indipendentiste e separatiste”, un gesto di cui “gli Usa dovranno assumersi responsabilità e conseguenze”.
Il portavoce ha inoltre definito “un’intromissione negli affari interni” le minacce di pesanti sanzioni in caso di azione militare fatte dalla segretaria al Tesoro Usa, Janet Yellen.

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