Trump isolazionista… ma non troppo!

di Dario Rivolta * –

Non è un’abitudine soltanto italiana: in tutto il mondo una cosa sono le promesse e gli impegni annunciati in campagna elettorale ed un’altra le decisioni assunte una volta eletti. Non sempre si tratta di malafede o di volute menzogne, a volte le stesse cose viste dall’opposizione o dal governo possono essere ben diverse. Dall’opposizione si può criticare o pretendere decisioni diverse senza necessariamente preoccuparsi della loro fattibilità. Tuttavia, una volta al governo, le maggiori informazioni di cui si entra in possesso e l’obbligo di considerarne le conseguenze spinge spesso a tradire le promesse fatte e le conseguenti aspettative degli elettori. Il presidente Usa Donald Trump, checché ne dica lui, ne è un esempio.
Non pretendo di entrare nel merito di alcune sue affermazioni quali la questione del muro col Messico e di chi dovesse pagarlo, né del bando alle nuove immigrazioni o della cancellazione della riforma sanitaria di Obama, perché almeno per queste ultime due ci ha provato ma lo ha fermato la “macchina”. Mi interessa invece soffermarmi sulle dichiarazioni che fece riguardo alla politica estera che intendeva attuare in modo diametralmente opposto a quanto fatto dal suo predecessore. I suoi motti vincenti, “America first” e …great again” si accompagnavano alla critica dell’enorme dispendio di denaro americano per interventi militari all’estero giudicati inutili se non controproducenti per le tasche dei comuni americani. “Abbiamo speso 6 trilioni di dollari in Medio Oriente … Avremmo potuto ricostruire due volte il nostro Paese”, dichiarava a proposito della presenza di militari americani in Iraq, Afghanistan e dei bombardamenti effettuati in varie parti del mondo così lontane dagli Stati Uniti. Una volta eletto, però, sembra averci ripensato.
Purtroppo per chi lo aveva creduto, già sei mesi dopo essere entrato in carica ha deciso l’invio in Aghanistan non solo di tremila soldati in più ma ha anche autorizzato l’incremento del numero di bombe da sganciare sui talebani. Un veloce calcolo dimostra che la coalizione Nato nel suo complesso nel 2017 ha aumentato di tre volte il numero dei bombardamenti e la previsione dalle stesse fonti americane è che tale numero aumenterà ulteriormente nel 2018. Se allarghiamo lo sguardo a tutto il Medio Oriente ed al Nord Africa si scopre che il numero di militari e civili americani impegnati in queste aree dall’inizio della nuova presidenza ha avuto un incremento del 31%. Durante la presidenza Obama, secondo i dati del Pentagono, le truppe americane in Siria ammontavano a 500 soldati/istruttori mentre gli ultimi dati provenienti dalla stessa fonte parlano oggi di 2mila persone. L’intenzione dichiarata e che vi rimangano per un tempo indefinito. Anche in Siria il numero di bombe sganciate nel 2017 è superiore all’anno precedente per circa il 30%. Considerato il costo di ciascuna bomba, anche l’esborso monetario non è certo diminuito.
Durante la presidenza Obama avevamo assistito un intenso uso di attacchi condotti dai droni in Yemen, Somalia, Pakistan e Libia e anche questo era stata una delle critiche avanzate contro l’ex presidente. Ebbene, secondo lo specialista in droni dell’americano centro di ricerca Stimson Center, “Trump li ha aumentati di molto, sia in termie geografico che di frequenza”. Nello Yemen sono esattamente triplicati ed in Somalia appena raddoppiati. Nel frattempo, dopo il permesso ricevuto dal locale governo, i militari americani, sono stati autorizzati da Trump a condurre attacchi via drone anche in Niger.
Un altro dei leit-motiv della campagna elettorale del Tycoon fu che la guerra condotta dalle truppe a stelle e strisce in Iraq e Libia doveva essere pagata dagli stessi stati attraverso l’acquisizione forzata di petrolio: “take the oil” disse. Non risulta che ciò sia mai avvenuto.
Anche in Ucraina, nonostante la dichiarata volontà di impostare nuovi rapporti con la Russia, Trump ha autorizzato qualcosa che nemmeno il suo predecessore Obama aveva osato fare e cioè consegnare al governo di Kiev armi letali. Prima di lui, dall’America erano partiti (almeno ufficialmente) soltanto (si fa per dire) istruttori, consiglieri, giubbotto antiproiettili, finanziamenti ecc. Pochi giorni orsono il Presidente ha autorizzato anche la fornitura di missili anticarro. Naturalmente passeranno sotto la voce di “armi difensive”, ma sta di fatto che fino ad ora gli Stati Uniti non si erano direttamente coinvolti nella guerra civile che contrappone gli autonomisti del Donbass al governo di Kiev. La fornitura di questi missili costituisce un salto di qualità di cui è difficile prevedere le conseguenze.
In una cosa però Trump resta sicuramente l’uomo che è stato dipinto come un “isolazionista”: non gli interessa concordare le sue decisioni con gli alleati. La scelta di fornire direttamente armi a una delle parti in causa in Ucraina non è stata, comprensibilmente, gradita dagli europei che temono un aggravarsi del conflitto e un altro ostacolo alla realizzazione degli accordi sottoscritti a Minsk 2. Tra l’altro mi sembra ricordare che a tutti i Paesi Nato sarebbe proibito vendere o fornire armi a Paesi in stato di guerra, salvo approvazione della stessa Nato. Viste le reazioni negative di Parigi e Berlino, sembra alquanto improbabile che tale approvazione sia avvenuta. Eppure, secondo gli accordi sottoscritti la Nato dovrebbe agire soltanto all’unanimità. Ma, chissà!

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.