Turchia a Siria: rischio di destabilizzazione di tutta l’area

di Saber Yakoubi –

Pochi giorni fa il primo ministro turco Rajab Erdogan ha rivolto al regime siriano di Bachar al-Assad un messaggio insolitamente duro nel quale il primo ministro parlava di pazienza esaurita ed accennava ad una lettera indirizzata al presidente siriano attraverso il ministro degli esteri Ahmed Dawod Oghlo, considerato l’artefice di una politica estera turca solida quanto efficace.
L’azione di Ergogan mostra la forte presenza turca sulla scena politica di tutta la regione mediorientale specialmente dopo l’uscita forzata di scena di Iraq e di Egitto, l’atteggiamento codardo dell’ Arabia Saudita e la situazione di grave incertezza che ha investito la Siria.
Ogni osservatore ha notato il cambiamento repentino in Siria il giorno dopo la visita di Oghlo: la città di Hamat ha visto il ritiro dei carri armati dopo 10 giorni di lotta popolare contro l’esercito siriano, i quali sono costati oltre 200 morti. Immediatamente dopo la visita del ministro degli esteri turco, si è notato un atteggiamento meno aggressivo da parte sia dell’esercito che delle forze dell’ordine, anche se oggi sono ripresi aspri gli scontri.
Dopo il faccia a faccia fra Oghlo ed al-Assad, il primo ministro turco Erdogan ha parlato dei tre punti importanti frutto della conversazione turco-siriana: il ritiro immediato delle truppe dalle città e il ritorno di tutte le figure militari nelle caserme; il porre fine allo spargimento di sangue per le strade sia da parte delle forze dell’ordine che dai cosiddetti chabbiha, i sostenitori del regime di al-Assad armati di bastoni, di coltelli, di spranghe e di altre armi da fuoco impiegate contro i manifestanti; riforme urgenti in grado di creare stabilità nel paese, tra le quali elezioni parlamentari e presidenziali.
E’ prematuro parlare di ottimismo e di democrazia garantita nel paese e difatti gli attacchi di oggi a Latakia dimostrano l’incertezza e la tensione che ancora vi alberga.
Erdogan non possedeva poteri magici, ma di certo è stato in grado di mettere in campo una politica seria ed un messaggio forte, se ha costretto i vertici siriani almeno a considerare la questione con una visione più ampia.
L’incontro tra Oghlo ed al-Assad si è svolto a porte chiuse e quindi non si sa esattamente cosa è stato detto. Il presidente della Siria ha informato di aver ricevuto una lettera da parte del presidente americano Obama, ma è palese che è la Turchia il paese strategico della regione: le intromissioni di Obama non sono state viste bene all’incontro turco-siriano. Si teme un intervento militare dell’Occidente simile a quello avvenuto in Libia, cosa che potrebbe destabilizzare l’area costringendola ad un binario morto ed ancor più che a tale scopo starebbero lavorando vari governi.
Erdoghan sa che ce un piano diabolico volto a far scaturire la guerra tra Iran e Turchia, con la conseguente distruzione di entrambe le potenze e quindi la mano libera di Israele su tutto il Medio-Oriente.
La Siria non è la Libia, gode di alleanze importanti fra le quali l’Iran e gli Hezb’Allah ed ha un esercito preparato e ben equipaggiato, mentre sia gli USA che le potenze della Nato soffrono la crisi economica internazionale ed hanno ancora aperte le ferite delle sconfitte in Iraq e in Afghanistan.
Israele invece è disposto ad investire energie per mantenere la situazione di destabilizzazione dell’area anche per uscire dall’isolamento politico e mediatico dovuto ad anni di repressione del popolo palestinese.
Erdogan vorrebbe quindi una Siria stabile e, di conseguenza, tutta la regione; qualcuno ha parlato anche della minaccia vera e propria lanciata dal premier turco al presidente siriano di armare i ribelli piuttosto che vedere un intervento USA con le truppe di Obama ai confini con la Turchia, il Libano, la Giordania e l’Arabia Saudita.
Al-Assad può ancora contare su una certa influenza in Libano ed aveva dovuto inghiottire molta della sua arroganza nel momento in cui era stato costretto da USA ed Occidente a ritirare le sue truppe. Ora, però deve assolutamente fermare la repressione contro i ribelli, garantire processi giusti e soprattutto dare il via a riforme autentiche. In caso contrario il bagno di sangue sarà destinato a non finire e l’alternativa verrà ad essere di giorno in giorno più amara e con costi più elevati.