Turchia. Gli Usa sospendono la vendita degli F35 dopo l’acquisto degli S-400 dai russi

di Enrico Oliari

Fonti militari del Pentagono hanno reso noto che gli Usa hanno sospeso la vendita di 100 F35-A e F-35 B alla Turchia. La decisione arriva dopo che lo scorso gennaio l’amministrazione Erdogan ha respinto l’invito del presidente Usa Donald Trump a non procedere nell’acquisto dei sistemi missilistici da difesa S-400 dalla Russia, cioè dal nemico, dal momento che la Turchia è paese membro della Nato. D’altro canto gli S-400 russi sono pensati proprio per prevenire una minaccia anche dei caccia della Lockheed Martin, di cui la Turchia ne avrebbe ordinati sia in versione con decollo e atterraggio convenzionale, sia il modello “B”, con decollo corto ed atterraggio verticale.
Washington aveva chiesto al presidente turco Recep Tayyp Erdogan di recedere dal contratto stilato nel 2017 con la russa Rosoboronexport per l’acquisto degli S-400, proponendo la fornitura di sistemi missilisti da difesa Patriot, per quanto il prezzo il prezzo di 3,5 miliardi di dollari fosse nettamente superiore alla proposta russa e comunque senza nessuno sconto. A onor del vero la delegazione statunitense aveva caricato l’offerta con 4 stazioni radar AN / MPQ-65, 10 dispositivi di antenne, 20 lanciatori M903 e apparecchiature di prova, ma il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, aveva fin da subito messo le mani avanti parlando di penali consistenti da versare alla Russia.
Il programma di acquisto dei missili S-400 è stato sottoscritto nel 2017 ed ammonta, come aveva spiegato a suo tempo l’ad di Rosoboronexport, Alexander Mikheyev, “a 2,5 miliardi di dollari, di cui il 45% del totale sarà versato come anticipo dalla Turchia, mentre il 55% sarà finanziato con prestiti russi”. Una batosta dopo che la lira turca nei mesi scorsi è stata svalutata fortemente a causa di un attacco speculativo voluto, stando alle accuse di Erdogan, dagli Usa, per cui aveva affermato che “Loro hanno i dollari, noi abbiamo Dio”.
Nelle ultime settimane il Pentagono ha fatto di tutto per far saltare il contratto stipulato nel 2017 dalla Turchia, paese membro della Nato, con la russa Rosoboronexport per l’acquisto di sistemi antimissilistici S-400. In agosto l’ad di Rosoboronexport, Alexander Mikheyev, aveva spiegato all’Interfax che “Il contratto sta seguendo i termini prestabiliti, noi inizieremo ad implementarlo nel 2019” per portare a termine il progetto entro il marzo 2020, e l’ad della Rostec Corporation, azienda di Stato russa per la costruzione degli armamenti, aveva reso noto che il prezzo pattuito ammontava “a 2,5 miliardi di dollari, di cui il 45% del totale sarà versato come anticipo dalla Turchia, mentre il 55% sarà finanziato con prestiti russi”.
Il presidente Usa Donald Trump, come già fece la precedente amministrazione, non ha perso occasione per rimproverare alla Turchia di aver acquistato sistemi missilistici per così dire dal “nemico” e non dagli alleati, cioè dal suo paese, e forse in questa chiave va letta la svalutazione della lira turca di qualche mese fa, crisi di cui Erdogan ha accusato gli Usa e per ha ricevuto importanti prestiti dal Qatar e dagli Emirati Arabi Uniti.
In queste ore il quotidiano turco Yeni Safak ha riportato che l’amministrazione Erdogan ha respinto la proposta degli Usa, formulata da una delegazione giunta ad Ankara settimana scorsa, di recedere dal contratto con i russi in cambio della fornitura di sistemi missilisti da difesa Patriot, anche perché il prezzo offerto di 3,5 miliardi di dollari è risultato nettamente superiore alla proposta russa e comunque non è stato offerto nessuno sconto alla Turchia. A onor del vero la delegazione statunitense aveva caricato l’offerta con 4 stazioni radar AN / MPQ-65, 10 dispositivi di antenne, 20 lanciatori M903 e apparecchiature di prova, ma il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha messo le mani avanti parlando di penali consistenti in vista di una’eventuale recessione dal contratto.
Non è tuttavia solo una questione di prezzi. Erdogan continua a tenere la Turchia con il piede in due scarpe, e con la Russia ha altri progetti strategici in corso a cominciare dalla costruzione della centrale nucleare di Akkuyu per un costo complessivo stimato di 20 miliardi di dollari, per poi passare al Turkish Stream, le cui due pipeline saranno operative nel 2019 con un costo complessivo dell’operazione di 11,4 miliardi di euro: i due condotti riforniranno la Turchia e, passando per il territorio di Ankara, potranno arrivare al mercato europeo, salvo l’altolà di Bruxelles. E’ inoltre in fase di studio un accordo di libero scambio tra i due paesi.
Con gli Usa invece i conti sono aperti, a cominciare dal sostegno militare dato ai curdi in Siria per arrivare al caso del ricco imam Fethullah Gulen, che Washington si è rifiutata di estradare, ritenuto da Ankara essere la mente del fallito golpe (presunto o vero che sia stato) del 15 luglio 2016; la Turchia ha risposto tenendo agli arresti il pastore evangelico Andrew Brunson, accusato di cospirazione e terrorismo per aver avuto all’indomani del tentato colpo di Stato contatti con il Pkk e con i gulenisti. Brunson è poi stato rilasciato nell’ottobre scorso, ma già gli Usa avevano introdotto sanzioni per fare pressioni per il suo rilascio. Sanzioni nei confronti di un alleato.