Ucraina. Crimea, la resa dell’Occidente?

Il piano Trump per chiudere la partita.

di Giuseppe Gagliano –

Nel silenzio crescente delle diplomazie europee e con l’opinione pubblica americana sempre più refrattaria a sostenere una guerra lunga e costosa, prende forma uno scenario impensabile fino a poco tempo fa: Washington, sotto la presidenza di Donald Trump, valuta il riconoscimento della Crimea come territorio russo. Lo riferisce Bloomberg, citando fonti riservate vicine ai negoziati tra Stati Uniti e Federazione Russa, che si starebbero intensificando per definire una cornice diplomatica in grado di fermare il conflitto e ricostruire un equilibrio nel cuore dell’Europa.
Secondo quanto emerso, la mossa sarebbe parte di un piano più ampio per ottenere un cessate il fuoco immediato, il cui primo promotore è proprio il Segretario di Stato Marco Rubio. In assenza di risultati tangibili, ha dichiarato Rubio, l’amministrazione statunitense potrebbe ritirarsi dal tavolo della mediazione, lasciando intendere che i tempi per una “pace americana” sono stretti. Un ultimatum che sa più di strategia d’uscita che di reale pressione diplomatica.
La questione della Crimea, annessa dalla Russia nel 2014 in seguito a un’operazione militare e a un referendum non riconosciuto dalla comunità internazionale, rappresenta da sempre un nodo cruciale. Ma se l’Occidente ha per anni ribadito la propria opposizione alla violazione della sovranità ucraina, ora lo scenario muta: la realtà del potere territoriale de facto sta soppiantando la legalità internazionale.
La Russia giustifica ancora oggi l’annessione in chiave difensiva, accusando Kiev, all’epoca dei fatti, di aver favorito l’ascesa di un governo nazionalista ostile ai russofoni. E in effetti, già nei primi anni ‘90, la penisola aveva mostrato pulsioni autonomiste forti: nel 1991, il 94% dei votanti approvò il ritorno allo status di Repubblica autonoma sovietica, poi ignorato; nel 1994, un nuovo referendum confermò questa linea. Tutto dimenticato, o minimizzato, nei resoconti occidentali.
Secondo il New York Post, il piano di pace proposto da Trump è stato accolto con favore da Kiev, che avrebbe dato un’approvazione “al 90%”. A breve si attendono nuovi colloqui a Londra con la partecipazione russa, con l’obiettivo di discutere un cessate il fuoco “completo e globale”. Ma la posta in gioco non è solo diplomatica: in parallelo, Washington e Kiev hanno sottoscritto un memorandum sulle terre rare, settore strategico tanto per la difesa quanto per l’industria tecnologica. Un segnale che, al di là della pace, l’asse Usa-Ucraina non si rompe: si trasforma.
Mentre tutto questo accade, l’Europa appare paralizzata, incapace di proporre una visione autonoma del conflitto. Né Berlino né Parigi sembrano in grado di influenzare realmente gli eventi. Il destino dell’Ucraina, e forse della stessa architettura di sicurezza europea, viene così negoziato altrove, in un dialogo diretto tra le due superpotenze, che tornano a parlarsi come ai tempi della Guerra Fredda. Ma stavolta senza la cortina di ferro, e con il baricentro spostato a est.