Ucraina. Gas, terre rare e potere strategico: come USA e Russia vogliono riscrivere la sovranità energetica dell’Europa

di Giuseppe Gagliano

Nel cuore delle trattative tra Stati Uniti, Ucraina e Russia si cela una realtà che i comunicati ufficiali sfiorano appena: la ridefinizione, di fatto, della sovranità energetica europea. A guidarla non sono le cancellerie europee, ma Washington e Mosca. E a farne le spese è Kiev. Secondo l’inchiesta riportata da Reuters funzionari statunitensi e ucraini si sono incontrati nei giorniscorsi per discutere un pacchetto negoziale che non riguarda solo la fornitura di armi o sostegno finanziario. L’oggetto è molto più strategico: il controllo delle risorse naturali ucraine, petrolio, gas, terre rare, e delle infrastrutture che le trasportano.
Il punto nodale è il gasdotto Sudzha-Uzhhorod, costruito in epoca sovietica e fino a fine 2024 canale essenziale per il transito del gas russo verso l’Europa. Dopo che Kyiv ha deciso di non rinnovare il contratto con Gazprom, bloccando i flussi e rinunciando a un miliardo di dollari annui in diritti di transito, quel corridoio è diventato politicamente disponibile. Ora Washington chiede che la International Development Finance Corporation (IDFC), un’agenzia governativa statunitense, ne assuma il controllo operativo e commerciale.
Parallelamente la nuova bozza dell’accordo proposta dagli Stati Uniti prevede che Washington riceva diritti esclusivi per l’estrazione e la commercializzazione di terre rare e risorse energetiche per un valore di 500 miliardi di dollari. Una cifra colossale, che trasforma l’Ucraina da alleato in guerra a piattaforma estrattiva.
Ma il dato più politico è che tutto questo avviene non in parallelo, ma in sovrapposizione al negoziato con Mosca. Secondo fonti diplomatiche raccolte da Bloomberg, gli Stati Uniti avrebbero fatto trapelare la disponibilità a riconoscere la sovranità russa sulla Crimea e sulle quattro regioni occupate, un’inversione clamorosa rispetto alle posizioni ufficiali della NATO e dell’UE.
Lo scenario che si profila è questo:

– l’Ucraina viene “premiata” con investimenti e partnership energetiche in cambio di cessione di sovranità commerciale e territoriale;

– la Russia ottiene legittimazione su parte delle sue conquiste, in cambio di una tregua e della riapertura dei flussi energetici;

– gli Stati Uniti si assicurano un doppio controllo: sui corridoi infrastrutturali (gasdotti, oleodotti) e sulle fonti (gas USA + terre rare ucraine);

– l’Europa resta priva di voce, ma obbligata a comprare energia a condizioni politiche, come testimoniato dalla richiesta di Trump: 350 miliardi di dollari annui di gas e petrolio americani, per evitare sanzioni doganali.Questa strategia non è una deviazione, ma un progetto coerente: sostituire la dipendenza energetica europea da Mosca con una nuova dipendenza da Washington, mantenendo però Mosca dentro il perimetro del gioco, come fornitore secondario ma politicamente subordinato.
In questo contesto il futuro dell’Ucraina diventa funzione degli interessi incrociati tra le due potenze. Zelensky è stato duramente contestato a Washington a febbraio, quando rifiutò una prima versione dell’accordo. Ora, con la nuova bozza “massimalista” e la minaccia americana di abbandonare il tavolo dei negoziati, la pressione si fa insostenibile.
Per l’Europa, che per anni ha proclamato la necessità di “autonomia strategica”, il rischio è massimo: essere esclusa dalla definizione dei propri stessi canali energetici, ridotta a consumatore passivo di scelte fatte tra la Casa Bianca e il Cremlino.
Dietro il fumo delle dichiarazioni ufficiali sul sostegno alla democrazia ucraina si muove un’altra partita: quella del dominio infrastrutturale, logistico e commerciale sull’energia europea. Una partita che, oggi, l’Europa sembra aver già perso.