Ucraina. Meloni si sfila, il Vaticano rientra, Trump detta i tempi

di Giuseppe Gagliano –

Ieri sotto il sole di Roma e gli occhi del mondo, Papa Leone XIV ha ricevuto in Vaticano il primo leader straniero del suo pontificato: Volodymyr Zelensky. Un gesto carico di simbolismo, in un contesto in cui la guerra in Ucraina non è più solo un conflitto militare, ma un banco di prova per l’equilibrio geopolitico tra Stati Uniti, Europa, Russia e sorprendentemente anche Santa Sede.
Nella stessa cornice, mentre i fedeli applaudivano il passaggio della papamobile in Piazza San Pietro, dietro le quinte si consumavano trattative riservate. Zelensky ha incontrato il vicepresidente USA JD Vance e il segretario di Stato Marco Rubio: colloqui bilaterali su sanzioni, cooperazione militare e strategie diplomatiche. È la prima volta che i tre si rivedono dopo le frizioni di febbraio alla Casa Bianca, segno che la diplomazia americana, pur divisa tra falchi e colombe, mantiene un’agenda attiva nei confronti di Kiev.
Nel frattempo, si stringono i tempi per un nuovo colloquio tra Trump e Putin, previsto per oggi alle 17.00, ora di Mosca. Un’iniziativa che ha messo in allerta l’Europa, consapevole che le sorti del conflitto potrebbero essere negoziate senza il suo diretto coinvolgimento. Non a caso i leader di Germania, Polonia, Regno Unito e Francia hanno discusso informalmente con Zelensky e Trump durante il recente vertice in Albania. Ma l’Italia, per voce di Giorgia Meloni, ha scelto di non esserci.
Una “assenza” che ha fatto rumore. Se da un lato Meloni ha ribadito che l’Italia non intende inviare truppe in Ucraina (posizione condivisa anche da Merz e Scholz), dall’altro ha denunciato, senza nominarlo, il tentativo francese di costruire una leadership europea parallela, escludendo Roma dai formati decisionali. “Coerenza e chiarezza” sono state le parole d’ordine della premier, che ha comunque aperto alla partecipazione dell’Italia in qualsiasi formato che punti sinceramente alla pace. Il vero nodo, però, resta la frattura interna all’Occidente: un’alleanza logorata da agende divergenti e rivalità personali.
In questo scenario entra in gioco il nuovo pontefice. Papa Leone XIV, al secolo Robert Prevost, non ha perso tempo: ha condannato l’invasione russa come “imperialista”, ha ribadito la disponibilità della Santa Sede ad accogliere negoziati di pace diretti e si è impegnato sul fronte umanitario, in particolare per il ritorno dei bambini ucraini deportati. Il Vaticano, definito da Rubio “luogo neutro ma moralmente forte”, sembra volersi ritagliare un ruolo di ponte tra le parti.
Siamo dunque a un bivio. Mentre i governi occidentali discutono sull’opportunità dell’invio di truppe e sul formato dei negoziati, il rischio è che la pace venga decisa altrove: a Mosca, a Washington o forse in Vaticano. E l’Europa, Italia inclusa, rischia di essere spettatrice in una partita che si gioca sulla sua stessa sicurezza.
Lo scenario che si profila è tanto simbolico quanto strategico. A venti mesi dall’invasione russa dell’Ucraina, l’Europa appare più divisa che mai: Francia e Germania oscillano tra attivismo diplomatico e cautela, Londra alza la posta ma solo se coperta da Washington, e l’Italia, un tempo cerniera tra est e ovest, si ritrae, per scelta o per esclusione.
In questo vuoto si inseriscono due figure fuori dai radar geopolitici classici: Trump, ormai deus ex machina di una diplomazia parallela che ignora Bruxelles e sorvola il multilateralismo, e Papa Leone XIV, che tenta di recuperare il ruolo di mediatore spirituale e politico della Santa Sede. Ma se Trump negozierà davvero con Putin il futuro di Kiev, allora sarà chiaro che la guerra ha superato i confini militari per diventare una partita di influenza globale.
Il rischio? Che l’Europa venga ridotta a teatro e non più attore. E che la pace, o la sua illusione, venga firmata altrove, lontano dai suoi cittadini, dai suoi soldati e dalle sue urne.