Ucraina. Ryabkov, ‘niente cessate-il-fuoco senza i punti cardine della nostra strategia politica’

di Giuseppe Gagliano

Il viceministro degli Esteri russo, Sergei Ryabkov, ha rilasciato un’intervista alla rivista International Affairs Journal in cui ha ribadito che Mosca non intende rinunciare ai punti cardinali della sua strategia: il riconoscimento delle annessioni territoriali e la neutralizzazione dell’Ucraina sul piano politico-militare. In altre parole, per il Cremlino la guerra non è solo una questione militare, ma il tentativo di riscrivere l’architettura di sicurezza dell’Europa post-sovietica. Tali posizioni rappresentano un’ulteriore conferma che il confronto tra Mosca e Washington sull’Ucraina si muove su binari divergenti, con pochi punti di contatto reali e molti ostacoli strutturali. Nonostante il rinnovato attivismo diplomatico statunitense, la Russia ha chiarito che le proposte americane per un cessate-il-fuoco non sono accettabili nella loro forma attuale.
Le proposte americane sembrano invece muoversi su un terreno tattico: congelare il conflitto, avviare una fase di stallo controllato e limitare i danni. Trump, da parte sua, ha adottato un tono ambivalente. Da un lato ammette che Mosca sta rallentando le trattative per guadagnare terreno sul campo; dall’altro si dice pronto a escludere l’ingresso dell’Ucraina nella NATO e auspica “concessioni territoriali” da parte di Kiev. Ma il tentativo di mediazione rischia di essere percepito come un’imposizione bilaterale: a Mosca viene chiesto di fermare l’avanzata militare senza aver ottenuto quanto desidera, a Kiev viene chiesto di cedere territori e sovranità strategica in cambio di una pace illusoria. È il classico scenario in cui nessuno può vincere, ma tutti possono perdere.
La posizione di Kiev, sostenuta apertamente dalla leadership del partito di governo, è chiara: nessun riconoscimento delle annessioni russe e nessuna rinuncia all’adesione a strutture euro-atlantiche. Un atteggiamento comprensibile, ma che pone ulteriori ostacoli a un compromesso. Sul piano interno, l’Ucraina resta bloccata in uno stato di emergenza permanente, senza elezioni all’orizzonte e con crescenti segnali di stress politico e sociale. Le voci di elezioni anticipate sono state smentite con decisione, ma il solo fatto che The Economist ne abbia parlato indica il livello di pressione a cui è sottoposto il sistema politico ucraino.
In termini geopolitici, il messaggio russo va ben oltre il tavolo delle trattative. Mosca sta dicendo all’Occidente che ogni soluzione diplomatica dovrà passare per una ridefinizione dell’equilibrio europeo, e che l’Ucraina è solo il primo campo di battaglia di un confronto più ampio. La citazione delle “cause profonde” del conflitto – cioè l’espansione della NATO, l’erosione della sfera d’influenza russa e la marginalizzazione diplomatica di Mosca – richiama le stesse rivendicazioni avanzate da Putin sin dal discorso di Monaco del 2007. Nulla è cambiato, se non il livello di forza con cui la Russia ora cerca di imporsi.
L’elemento più indicativo resta il linguaggio della diplomazia russa: pacato nei toni, ma fermo nei contenuti. Le rassicurazioni di Peskov sui contatti ancora in corso con gli Stati Uniti e sul rispetto del moratorio contro le infrastrutture energetiche ucraine indicano che un canale è ancora aperto. Ma è un dialogo condizionato, fragile, appeso alla volontà di entrambi gli attori principali – Washington e Mosca – di evitare che la guerra diventi una trappola strategica. Eppure, proprio mentre si parla di tregua, la guerra continua ad avanzare sul terreno, con nuovi assalti, accuse reciproche di violazioni e spostamenti tattici mascherati da negoziazioni.
In questo scenario, ogni proposta di tregua sembra destinata a fallire se non viene accompagnata da una visione realistica e multilaterale della sicurezza europea. Senza una riformulazione degli assetti continentali e senza garanzie reciproche che vadano oltre il presente conflitto, qualsiasi cessate il fuoco sarà solo un intervallo. E la geopolitica, come insegna la storia, non tollera a lungo gli stalli apparenti.