Ucraina. Serve uno statista europeo

di Carlo Andrea Bollino *

Serve uno statista di livello in Europa e serve uno statista di livello in Italia per fronteggiare l’emergenza guerra in Ucraina. Penso che Mario Draghi potrebbe essere proprio quello giusto per entrambi i ruoli.
Cominciamo con il livello europeo. In Europa serve qualcuno che dica qualcosa di forte ma di credibile per la sicurezza dei valori europei che vanno dalla identità cristiana della nostra civiltà, alla tolleranza, alla visione della convivenza pacifica, alla visione dello sviluppo e della prosperità del libero mercato.
L’Europa da 2000 anni ha un saldo di quantità merci nel suo continente negativo. Dai tempi degli antichi romani noi importavamo grano e esportavamo civiltà con il principio del cives romanus sum. Ancora oggi, il saldo delle nostre importazioni in termini di quantità fisiche, carbone petrolio, gas, grano, acciaio è superiore alla quantità che esportiamo, perché le nostre esportazioni sono immateriali: alta tecnologia, prodotti premium nel tessile come nell’agroalimentare, nella moda come nell’automotive di lusso.
Ora è chiaro che la ridefinizione dei confini fra est e ovest si sta combattendo lungo una linea di piccolo cabotaggio che potrebbe essere a ovest dell’Ucraina o a est dell’Ucraina, più o meno da qualche parte intorno al Mar Nero.
Ma cosi facendo stiamo mettendo la Russia in bocca alla Cina e mettendo quindi il confine della vecchia contrapposizione bipolare ai margini dell’Europa.
Uno statista europeo grande e lungimirante, invece, avrebbe pensato che sarebbe stato necessario dopo la caduta del muro di Berlino includere la Russia nel blocco della civiltà industrializzata avanzata e spostare il confine del confronto, cosiddetto bipolare, nel mondo tra la Mongolia e il Tibet.
Perché noi siamo sì e no 800 milioni, fra americani, europei e russi. I cinesi sono pur sempre un miliardo e mezzo. Ma la miopia del nostro sistema, inclusa la vecchia visione della NATO, continua a effettuare piccole incursioni di piccolo cabotaggio per cercare di strappare, come abbiamo fatto, la Romania piuttosto che la Polonia al blocco dell’est e ci siamo accontentati di spostare il confine della nostra sfera di influenza di civiltà di pochi chilometri.
Ma la visione globale del futuro è planetaria: il mondo sta correndo all’est in Asia: paesi arabi, India, Cina, Corea: lì è dove le società di consulenza come la Mckinsey assumono giovano brillanti europei. Là è dove gli appalti sono per le infrastrutture di centinaia di chilometri di metropolitana, migliaia di chilometri di alta velocità, dove vengono progettate e costruite nuove città tecnologiche, non le facciate con il bonus 90%.
Ovviamente queste sono considerazioni assolutamente fantasiose perché la capacità politica e diplomatica dell’Europa va in un’altra direzione e noi europei ne stiamo pagando le conseguenze.
Una visione di sanzioni economiche in contrasto a un’azione militare va benissimo per al retorica della politica, ma quando si osserva che l’azione considerata più incisiva a Bruxelles è quella del esclusione della Russia dal sistema dei pagamenti Swift – che vorrebbe dire escludere definitivamente gli scambi economici e commerciali e i pagamenti degli scambi economici e commerciali con la Russia dal nuovo ordine di finanza internazionale – la conseguenza più prevedibile è che, a parte vinicoltori in rovina, se noi interrompiamo il pagamento in dollari del gas alla Russia, il giorno dopo la Russia chiude i rubinetti e taglia le forniture di gas all’Europa.
Del resto quale logica economica farebbe di Putin un illuminato fornitore di gas se non ricevesse soldi in cambio? Dite: signori di Bruxelles: quale imprenditore europeo sarebbe contento di continuare a vendere il suo prodotto senza più ricevere soldi in cambio?
Quindi, applicando questa logica le conseguenze della sanzione finanziaria ricadrebbero in proporzione maggiore sui Paesi come l’Italia o la Francia o la Germania, cioè i grandi Paesi dell’Europa, che hanno grandi volumi di scambi con la Russia. Non a caso infatti possiamo sottilmente osservare che la proposta è stata caldeggiata per esempio dall’Olanda, un Paese che di gas ne ha abbastanza perché lo esporta e quindi nell’immediato non sarebbe colpito.
Ecco perché dico che occorre un grande statista europeo: non possiamo continuare con le soluzioni esoteriche ideate da qualche cancelleria del Nord Europa senza tenere conto della realtà di tutto il sistema economico politico e sociale europeo.
Vengo poi all’Italia: sarebbe coraggioso e necessario che Mario Draghi, così come ha risolto l’emergenza vaccinazioni con il generare Figliuolo (rispetto alla inconcludenza precedente) nello stesso modo incarichi un “generale Figliuolo”, affinché prenda in mano nel nostro Paese nell’immediato, cioè da esattamente domani mattina, la gestione dell’emergenza energia.
Le azioni sono le seguenti: primo, ripristino immediato dei pozzi di estrazione di gas ovunque questi in siano questo momento in condizione “non erogante” e siano in grado di ripristinare un flusso di produzione nazionale, indipendentemente da qualsiasi vincolo o legge regionale o peggio ancora qualsiasi costrizione data dal Titolo Quinto.
Questo sarebbe un grande gesto: far ritornare la politica energetica completamente in mano nazionale, esattamente come Figliuolo ha fatto ritornare la politica sanitaria completamente in mano nazionale, data l’inerzia e l’incapacità dell’azione regionale sul territorio.
Secondo, negoziare forniture di carbone per almeno due anni garantite dalle fonti principali internazionali a prezzo bloccato, per rimettere in funzione le 7 centrali a carbone in questo momento ferme in Italia punto con tutta la logistica del trasporto marittimo necessario.
Terzo eliminare qualsiasi potere locale di interdizione sulle capacità di esplorazione e estrazione di risorse naturali nel nostro territorio.
Quarto, immediata predisposizione di rigassificatori galleggianti: basta prendere un paio di navi che hanno la tecnologia per la rigassificazione e ancorarle in un porto vicino a un ingresso della rete di gasdotti nazionali, con il potere di effettuare contratti di medio termine di fornitura di gas liquefatto da fonti alternative, garantiti per almeno tre anni.
Infine, l’isolamento della Russia nel suo territorio economico, cioè il mercato energetico. Uno statista come Draghi sarebbe l’unico in Europa ad avere la autorevolezza di attuare un’azione diplomatica europea per dialogare con l’Opec e riportarlo ad essere Opec invece che Opec plus, cioè sganciare il processo decisionale dell’Opec dalle negoziazioni con la Russia.
Occorre immediatamente negoziare forniture per tutta l’Europa di incremento di petrolio da parte dei paesi Opec al posto delle forniture russe a prezzi negoziati per il prossimo biennio.
Questo sarebbe un punto fondamentale perché in tale momento il prezzo del petrolio come si sa è determinato a livello quotidiano e al massimo settimanale. Occorrerebbe invece negoziare con i Paesi del Golfo Persico che hanno in questo momento una capacità produttiva aggiuntiva e inutilizzata di almeno 2 – 3 milioni di barili al giorno, la sicurezza della fornitura e negoziare l’utilizzo di questa capacità aggiuntiva garantita per il prossimo biennio. A questo piano si accoderebbero volentieri anche i piccoli produttori di Shale oil americani.
In questo modo allora, sostituendo le forniture di gas con produzione nazionale e di petrolio con produzione del Golfo Persico rispetto a quelle russe allora sì che potremmo portare Putin a più miti consigli.
il resto è ipocrisia della diplomazia europea impotente o rischio di tornare tutti a casa, fabbriche chiuse, senza energia e senza lavoro.
Vi immaginate un altro lockdown della nostra vita senza neanche l’elettricità per chattare? No grazie.

Articolo in mediapartnership con il Giornale Diplomatico.

* Professore di economia, Università degli Studi di Perugia.