Ucraina. Stoltenberg, ‘la guerra durerà anni e costerà molto’. E intanto negli Usa si fanno affari d’oro

di Enrico Oliari

Al 116mo giorno di invasione russa dell’Ucraina il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg ha affermato in un’intervista per la tedesca Bild che la guerra potrà durare anni. Per Stoltenberg non deve venire meno il sostegno della Nato e dell’occidente all’Ucraina, anche se “i costi militari e quelli dovuti al conseguente aumento dei prezzi di energia e generi alimentari sarà alto”. “D’altronde – secondo il numero uno dell’Alleanza Atlantica – si tratta di costi minimi rispetto a quanto devono pagare gli ucraini in prima linea”, e se “Vladimir Putin dovesse conseguire gli obiettivi che si è imposto, come nel 2014 quando annesse la Crimea, i costi sarebbero ancora maggiori”.
Stoltenberg punta per il vertice Nato di Madrid, che si terrà dal 28 al 30 giugno, a “dichiarare la Russia non più come partner ma come minaccia alla pace e alla nostra sicurezza”, ed ha espresso l’invito ai paesi membri della Nato di inviare armi moderne all’Ucraina, dal momento che ciò “aumenterà la possibilità per gli ucraini di respingere i russi dal Donbass”.
Accantonata (almeno per adesso) l’idea di far entrare l’Ucraina nella Nato, com’era stato stabilito al vertice dell’Alleanza di Bucarest del 2008, l’alter ego degli Usa Stoltenberg punta a procrastinare il conflitto costi quel che costi, escludendo a priori la via del dialogo necessaria al cessate-il-fuoco.
Stoltenberg sa bene che la guerra del Donbass è iniziata nel 2014 e non ieri, come sa che sono stati gli ucraini a non rispettare gli accordi di Minsk-2 che prevedevano il riconoscimento delle autonomie delle regioni russofone (come avviene ad esempio in Alto Adige). E sa anche che dal 2014 nel Donbass, a maggioranza russofona, sono stati chiusi i giornali in lingua russa, è stato proibito l’uso del russo negli uffici e negli atti pubblici (com’era avvenuto in Alto Adige durante il Ventennio), e che Kiev ha istituzionalizzato gruppi paramilitari come il Battaglione Azov, il quale, come ha denunciato l’Osce nel 2016, si è macchiato di gravi crimini di guerra proprio nel Donbass.
A guardarla da fuori e senza essere troppo dietrologi pare evidente che non tutti ci vadano a perdere con il conflitto che sta dilaniando l’Ucraina. Perché se i costi sono e saranno alti, vuol dire che qualcuno andrà a guadagnarci. Innanzitutto i produttori di armi, ed il primo paese in classifica sono proprio gli Usa, gli stessi che esporteranno 53 miliardi di metri cubi di gas di scisto in Europa (tecnica vietata in Ue per motivi ambientali).
I primi 5 produttori di armi da guerra sono infatti statunitensi: la Lockheed Martin nel 2020 ha guadagnato 58,2 miliardi di dollari; la Raytheon Technologies, nata alla fusione tra United Technologies Corporation e Raytheon Company, 36,8 miliardi; la Boeing 32,1 miliardi; la Northrop Grumman Corp 30,4 miliardi; la General Dynamics Corp 25,8 miliardi.
A Washington, dove viene deciso o accettato il segretario generale della Nato, sembra insomma che le guerre non dispiacciano, si pensi solo di recente all’Afghanistan, all’Iraq, alla Siria, alla Libia, o alle tensioni nel Mar Cinese Meridionale, dove i produttori di armi Usa stanno facendo affari d’oro. Basta che siano ben lontane, e che le disastrose conseguenze non ricadano sugli americani.