Ucraina. Un flop il vertice di Londra, Zelensky non cede sulla Crimea

di Giuseppe Gagliano

Il vertice di Londra di ieri, che avrebbe dovuto segnare una nuova tappa nei colloqui per la pace in Ucraina, si è trasformato in un affare ridimensionato, fiaccato dalle assenze eccellenti e da proposte considerate inaccettabili. La rinuncia all’ultimo minuto del segretario di Stato americano Marco Rubio ha annullato un incontro strategico con i ministri degli Esteri di Kiev, Londra, Parigi e Berlino, mentre da Washington arrivavano segnali discordanti su obiettivi e contenuti delle trattative.
A rendere ancora più tesa l’atmosfera, le dichiarazioni del presidente Donald Trump, il quale via Truth Social ha criticato apertamente il rifiuto del presidente ucraino Zelensky di discutere della Crimea: un atteggiamento che, secondo l’ex tycoon, “rende più difficile la pace” e rivela “ambizioni pericolose”. La linea è chiara: riconoscere, almeno de facto, la perdita della penisola avvenuta nel 2014, e iniziare un processo di pacificazione anche a costo di cessioni territoriali.
Le parole di Trump hanno fatto eco a una proposta di pace avanzata nelle settimane precedenti dall’inviato Usa Steve Witkoff, durante incontri tecnici a Parigi: secondo fonti diplomatiche il piano avrebbe incluso non solo il riconoscimento della Crimea russa, ma anche la graduale revoca delle sanzioni, l’esclusione dell’Ucraina dalla Nato e una spartizione territoriale di fatto. Una visione difficile da digerire a Kiev, dove la vicepremier Yulia Svyrydenko ha ribadito che senza un cessate-il-fuoco “totale e incondizionato” non si parlerà né della Crimea né di altri compromessi territoriali.
Sul piano diplomatico la Casa Bianca sembra voler lasciare spazio a una mediazione autonoma tra russi, europei e ucraini. Il vicepresidente JD Vance, in visita in India, ha parlato di “proposta chiara” sul tavolo e di un possibile disimpegno americano se non ci saranno progressi. Parole che suonano come un ultimatum mascherato: o si negozia su basi americane, vale a dire territoriali, o Washington si defila.
Ma il vero nodo è proprio questo: mentre Zelensky insiste sul rispetto dell’integrità territoriale sancita dalla Costituzione ucraina, Trump e i suoi emissari sostengono che la Crimea sia “stata persa anni fa” e che insistere su di essa equivalga a sacrificare inutilmente migliaia di vite. Una narrativa che disegna l’Ucraina come un ostacolo alla pace, mentre non pone domande scomode sul ruolo della Russia nel conflitto o sulle responsabilità occidentali nella sua escalation.
Dal canto suo Mosca rilancia con fermezza: il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha dichiarato che un eventuale cessate-il-fuoco sarà possibile solo se l’esercito ucraino si ritirerà dalle regioni del Donbass e della cosiddetta Novorossiya. In parallelo ha rassicurato sulle intenzioni russe verso Finlandia e Paesi baltici, accusando però l’Europa di “volere la guerra” e non una soluzione negoziale.
Il vertice londinese si è così chiuso senza risultati, confermando la distanza tra le posizioni in campo. L’assenza di Rubio, le critiche di Trump, il pressing per le concessioni territoriali, il protagonismo russo e il rigore ucraino delineano un quadro in cui la pace, se mai verrà, sarà più figlia di logiche geopolitiche che non di principi di giustizia o autodeterminazione.