di C. Alessandro Mauceri –
Mentre i paesi dell’Unione Europea sono ancora in attesa di vedere quali saranno gli effetti reali della messa al bando della plastica monouso, nel mondo la situazione peggiora giorno dopo giorno. A dicembre 2024, i paesi membri delle Nazioni Unite si sono incontrati dalla città costiera sudcoreana di Busan per decidere quali misure adottare per porre fine all’inquinamento da plastica. Alla fine però i colloqui si erano conclusi con un nulla di fatto visto che i negoziatori non erano riusciti a risolvere le divergenze. Dopo giorni di intenso lavoro, i leader di oltre 170 paesi del mondo non sono riusciti a trovare un punto d’incontro sul tanto atteso trattato globale sulla plastica. Al centro degli scontri il rifiuto da parte dei paesi maggiori produttori di petrolio, guidati dall’Arabia Saudita, di accettare un accordo che ponesse limiti alla produzione di plastica.
Nel discorso tenuto alla plenaria finale, il negoziatore dell’UE, Hugo Schally, ha riportato il profondo “rammarico di molti presenti nella stanza che ciò non sia accaduto, nonostante gli sforzi instancabili di molti di noi, comprese molte parti interessate che hanno lavorato fino alle ore del mattino nella speranza di ottenere un risultato positivo”.
Eppure la posta in gioco era alta: Greenpeace lo aveva definito “il trattato multilaterale più importante” dopo l’accordo sul clima di Parigi del 2015. Alla fine, però, gli interessi di alcuni paesi hanno prevalso su quelli che avrebbero voluto un accordo globale che affrontasse la causa principale della crisi dell’inquinamento da plastica.
Come per le emissioni di CO2, i paesi contrari alla messa al bando della plastica sono quelli le cui economie sono legate alla domanda di combustibili fossili. Paesi ai quali interessa poco che i rifiuti di plastica si riversano negli oceani del mondo a un ritmo sempre più elevato (gli ultimi rapporti parlano di circa 10 milioni di tonnellate all’anno), minacciando la biodiversità marina.
Se da un lato le emissioni legate ai consumi di combustibili fossili per produrre energia si sono leggermente ridotte, dall’altro la domanda di petrolio per produrre materie plastiche è in costante aumento. E di conseguenza l’inquinamento da plastica. Secondo il Global Plastics Outlook 2022 dell’OCSE la dispersione di plastica nell’ambiente raddoppierà fino a 44 milioni di tonnellate (Mt) all’anno, con conseguenze preoccupanti sotto il profilo ambientale e sanitario. Un altro studio prevede che entro il 2050, le emissioni globali derivanti dalla produzione di plastica triplicheranno e rappresenteranno un quinto del bilancio di carbonio rimanente della Terra.
Tra le conseguenze più preoccupanti legate all’uso smodato di materie plastiche c’è l’inquinamento da microplastiche: ormai sono dappertutto, dal tessuto cerebrale al latte materno.
“Se da un lato è incoraggiante che alcune parti del testo siano state concordate, dall’altro dobbiamo anche riconoscere che alcune questioni critiche ci impediscono ancora di raggiungere un accordo globale”, aveva detto il diplomatico ecuadoriano Luis Vayas. Lo stesso che alla fine non ha avuto altro da fare che proporre di sospendere i colloqui fino a data da destinarsi.
Una decisione che ha dato qualche anno di tempo ai maggiori produttori di materie plastiche per organizzarsi. Paesi come l’Arabia Saudita, tra i maggiori esportatori di greggio al mondo e capofila tra gli oppositori alla sottoscrizione di un accordo.
“L’Arabia Saudita sta investendo molto nella sua diplomazia ambientale”, ha detto uno dei delegati all’evento in Corea del Sud. “Penso che non ci siano molte delegazioni che possano vantare un team di negoziatori così talentuoso”. Il fatto è che per nazioni come l’Arabia Saudita, la dipendenza dal petrolio è irrinunciabile. Nonostante il tentativo di diversificare le proprie entrate molti dei paesi grandi produttori di petrolio non sopravviverebbero senza questa fonte di reddito. Del resto l’industria della plastica vale 700 miliardi di dollari all’anno ed è in crescita. Secondo gli esperti, mentre il mondo sta passando lentamente dal gas all’elettrico (o sta fingendo di farlo, visto che spesso l’energia utilizzata è prodotta sempre con fonti fossili), la plastica è destinata a diventare un fattore chiave per garantire una rilevante domanda di petrolio.
A Busan i negoziatori schierati dai paesi maggiori produttori di petrolio e di plastica non hanno badato a spese. Obiettivo comune: convincere i paesi più poveri produttori di petrolio che è essenziale “fare squadra” e schierarsi con l’Arabia Saudita. Un “gioco di squadra” che è apparso evidente fino a rasentare il ridicolo: in Corea del Sud, ogni volta che l’Arabia Saudita esprimeva il proprio parere, tutti i paesi alleati prendevano la parola e ripetevano alla lettera ciò che aveva detto.
Importante anche il ruolo della Russia: “La Russia ha chiaramente assunto il ruolo di fare interventi interminabili e presentare non-documenti che sono insensati e cose del genere”, ha dichiarato uno dei negoziatori. Non c’è da sorprendersi: la Russia è un grande esportatore di greggio e visto l’embargo dei paesi europei ha tutto l’interesse a trovare nuovi sbocchi per la propria produzione di petrolio e di gas naturale.
Unica differenza con le ultime COP per la riduzione delle emissioni di CO2, a Busan, i paesi principali produttori (e utilizzatori) di plastica hanno detto chiaramente che non sono disposti ad assumere alcuna responsabilità per i danni causati all’ambiente. Tanto meno una qualche forma di compensazione finanziaria.