Un nome, storie diverse

di Enrico Malagrotto

Uno degli aspetti più singolari della Storia è la sua capacità di presentare ogni volta nuovi spunti di studio e di riflessione che ci permettono di collegare eventi all’apparenza lontani nel tempo e nello spazio. Come si avrà modo di leggere, la scelta, forse casuale, di impiegare determinati nomi in contesti diversi tra di loro dimostra ancora una volta che l’uomo, ciclicamente, sente l’esigenza di ricorrere ad elementi già utilizzati precedentemente seppur attribuendo loro un peso ed un fine completamente diverso.
A partire dal lontano autunno del 1945 nel Friuli orientale operava un’organizzazione composta prevalentemente da ex partigiani delle Brigate Osoppo Friuli con il compito di difendere quella particolare area da eventuali infiltrazioni da parte delle forze jugoslave di Tito.
Risulta assai complicato poter riassumere in poche righe le problematiche e il contesto politico che caratterizzava il confine orientale tra Italia e Jugoslavia nei primi decenni del Ventesimo secolo e, in particolar modo, negli ultimi due anni della Seconda Guerra Mondiale, dal momento che la questione risulta tutt’ora molto delicata e oggetto di controversia tra gli storici.
Dopo il 1943, tra i movimenti di Resistenza presenti nell’OZAK (sigla in tedesco per Zona d’Operazioni Litorale Adriatico) (1) figuravano le Brigate Partigiane Osoppo Friuli (i cosiddetti Fazzoletti Verdi) composte prevalentemente da cattolici e liberali legati dall’assoluta apoliticità e alla difesa dell’italianità nei settori di intervento e le Brigate partigiane Garibaldi-Natisone (Fazzoletti Rossi) di ispirazione comunista. Tutti questi attori, alleati e slavi compresi, si trovarono a dover interagire gli uni con gli altri in un contesto assai difficile e non privo di barriere culturali, politiche ed operative. Le formazioni Osoppo e Garibaldi incontrarono ben presto notevoli difficoltà nella gestione delle operazioni in comune, soprattutto dopo la richiesta da parte dei vertici politici slavi di unificare tutte le Brigate operative nel Friuli sotto la stella rossa. Al consenso da parte delle formazioni comuniste seguì il netto rifiuto da parte degli osovani in nome dell’italianità di quelle terre. Il punto di non ritorno e la decisiva spaccatura tra le due formazioni fu l’eccidio di Malga Porzus il 7 febbraio 1945 quando diciassette partigiani osovani furono uccisi per mano di un gruppo di Fazzoletti Rossi guidati da Mario Toffanin (“Giacca”). Sebbene la dinamica, le motivazioni e gli autori materiali siano ancora oggetto di dibattito, di certo nella storia della Resistenza tale episodio risultò essere un punto di non ritorno e soprattutto il primo passo verso la ricostituzione delle Brigate nel dopoguerra in funzione anti slava.
La volontà di Tito di annettere la Venezia Giulia come parte integrante della Repubblica Jugoslava ed i fatti avvenuti a Trieste durante l’occupazione da parte delle truppe slave nei cosiddetti Quaranta Giorni (2) interessarono sia i Vertici politico-militari italiani sia quelli Alleati che nel frattempo erano arrivati anche in nord Italia istituendo il Governo Militare Alleato (GMA). Non potendo il nostro Paese disporre di proprie Forze Armate in grado di contrastare il nuovo nemico, su iniziativa di alcuni esponenti osovani si decise di ricostituire le formazioni degli ex “Fazzoletti Verdi” per garantire una presenza costante e occulta (nel senso militare del termine) in grado di contrastare l’eventuale penetrazione sul suolo italiano di forze considerate da loro ostili. La prima organizzazione prese il nome di Movimento Tricolore ed ebbe funzioni di raccolta informativa e di sorveglianza tra le valli del Natisone, del Torre e di Resia.
La formazione, tra la fine del 1945 e l’inizio dell’anno successivo, cedette il testimone ad un’altra struttura sempre costituita da ex osovani e con le medesime funzioni di raccolta informativa e vigilanza armata del territorio. Una nota del Questore di Udine Umberto Durante, risalente all’estate del 1946 e oggi conservata presso l’archivio di Stato di Udine, svela le caratteristiche di questo nuovo movimento: le autorità a cui si fa carico di distribuire armi agli osovani si identificano nelle disciolte formazioni partigiane della Divisione Osoppo Friuli, i quali, con l’acquiescenza dei Comandi Alleati, avevano provveduto all’organizzazione dell’associazione Fratelli d’Italia (3).
Il nome della nuova struttura era proprio Fratelli d’Italia e al suo vertice risultavano i Colonnelli Prospero del Din, Ufficiale alpino e principale fautore delle organizzazioni neo-resistenziali, Aldo Specogna, Ufficiale e fondatore delle Brigate Osoppo durante il secondo conflitto bellico e Luigi Olivieri, già Capo di Stato Maggiore delle Brigate in tempo di guerra. Come risulta dalla nota del Questore, il GMA era perfettamente a conoscenza dell’esistenza di Fratelli d’Italia dal momento che gli stessi Alleati avevano permesso al già citato Del Din di operare attivamente per la costituzione delle strutture e il loro riarmo fin dal 1945 grazie ai suoi contatti con partigiani ed ex compagni d’armi.
Queste formazioni venivano finanziate dal famoso Ufficio per la Venezia Giulia (Ufficio Zone di Confine successivamente), dipendente prima dal Ministero dell’Interno e poi direttamente dalla Presidenza del Consiglio, che aveva come fine quello di “promuovere, coordinare e vigilare le iniziative a favore dei connazionali profughi della Venezia Giulia e della Dalmazia e di provvedere alla trattazione in genere di tutte le questioni ricollegatesi con le accennate finalità” (4).
Nei primi mesi del 1946, di fronte alle (presunte) minacce e alle violenze attuate “dagli emissari jugoslavi” (5), dopo una riunione tra esponenti osovani e rappresentanti dell’Esercito Italiano, si decise di costituire una nuova formazione più strutturata e parte integrante della Forza Armata rinominandola “III Corpo Volontari della Libertà” (3Cvl). Fino al 1956 tali strutture vennero attivate e impiegate in particolari interventi che interessarono il confine orientale e proprio per questo cambiarono nome diversificando ogni volta le tattiche e garantendo la necessaria cornice di segretezza ai suoi membri.
Ma perché nel lontano 1945 venne scelto proprio il nome Fratelli d’Italia? Il Canto degli Italiani o Inno di Mameli, che siamo abituati a conoscere adesso, all’epoca non era ancora inno nazionale ma aveva avuto una certa diffusione tra le formazioni antifasciste per il suo carattere prettamente risorgimentale, da sempre elemento ispiratore anche tra gli osovani sia nel periodo bellico sia in quello successivo. Al giorno d’oggi, a distanza di decenni dagli eventi esposti, viene da chiedersi quanto questi fatti siano rimasti al di fuori della comune memoria e se i fondatori del partito italiano che si stanno per insediare a Palazzo Chigi siano consapevoli che nell’archivio della Presidenza del Consiglio sono ancora conservati i documenti relativi a questa organizzazione che porta lo stesso nome.

Note:
1 – Suddivisione territoriale sotto controllo tedesco comprendente l’attuale Friuli Venezia Giulia, Fiume, Pola e Lubiana dal 1943 al 1945.
2 – Dal primo maggio al 12 giugno 1945.
3 – Archivio di Stato di Udine, b.155, f.21, 18 agosto 1946, cit. in Giacomo Pacini, Le Altre Gladio, La lotta segreta anticomunista in Italia. 1943-1991, Einaudi Storia, Torino, 2014, p.105.
4 – Archivio Presidenza del Consiglio-Ufficio Zone di Confine (A-Pcm, Uzc), sez.I, b.13, Lettera dell’on. Ministro Mario Scelba al Gabinetto presidenza del Consiglio, 6 gennaio 1947 cit. in Giacomo Pacini, Le Altre Gladio, La lotta segreta anticomunista in Italia. 1943-1991, Einaudi Storia, Torino, 2014, p.55.
5 – Biblioteca Seminario Arcivescovile di Udine-Archivio Osoppo (Bsau-Ao), Promemoria colonnello Luigi Olivieri sull’attività svolta dalla ricostituita Osoppo Friuli, primavera del 1947 cit. in Giacomo Pacini, Le Altre Gladio, La lotta segreta anticomunista in Italia. 1943-1991, Einaudi Storia, Torino, 2014, p.117.
Oltre al testo citato in nota, gli altri libri utilizzati per la stesura dell’articolo sono: Andrea Romoli, Il diritto di parlare, Paola del Din, una vita in prima linea dalla Resistenza alla Guerra Fredda, Gaspari Editore, Udine, 2017 e Andrea Pannocchia e Franco Tosolini, Gladio. Storia di finti complotti e di veri patrioti. Gino Rossato Editore, Valdagno (VI), 2009. Per una lettura alternativa degli uomini, dei fatti e del contesto politico/culturale in cui hanno operato suddette organizzazioni si rimanda il lettore a: Faustino Nazzi, Alle origini della Gladio. La questione della lingua slovena nella vita religiosa della Slavia friulana nel secondo dopoguerra, Patrie dal Friûl, Udine, 1997 e il sito www.nuovaalabarda.org.