di Ercolina Milanesi –
Durante la prima guerra mondiale la Turchia si alleò con il Secondo Reich e con l’impero austroungarico, condividendone poi la sconfitta. L’impero ottomano si disintegrò e nella penisola arabica e nei Balcani sorsero molti piccoli stati autocratici. Le minoranze etniche rimaste all’interno dei confini turchi furono brutalmente represse. Nel 1915 circa 800.000 armeni morirono in un episodio passato alla storia come “il primo genocidio del XX secolo”.
Nel 1923 Mustafà Kemal (“Atatürk”) proclamò la repubblica ed approvò una nuova Costituzione. Il governo avviò un processo di rapida modernizzazione. Dopo la morte di Atatürk, nel 1938, i militari mantennero la loro influenza sulla politica turca. Nel 1941 la Turchia firmò un patto di non aggressione con la Germania e cercò di restare neutrale durante la guerra. Infine, nel febbraio del 1945, passò dalla parte degli alleati. L’espansione sovietica spinse il paese a consolidare la sua alleanza con gli Stati Uniti, che nel 1947 cominciarono a fornire aiuti militari ad Ankara. I nordamericani costruirono grandi basi militari in territorio turco e lentamente la dottrina militare nazionalista accolse il concetto di “sicurezza nazionale” del Pentagono. Sotto l’influsso degli Stati Uniti, la Turchia adottò un sistema pluripartitico e incentivò gli investimenti stranieri. Nel 1952 entrò nella NATO.
L’intervento militare turco a Cipro provocò la secessione dell’isola nel 1974 e causò le dimissioni del primo ministro socialdemocratico Bulent Ecevit. Nel 1980 Demirel il conservatore Soliman Demirel fu deposto dai militari e sostituito dal generale Kenan Evren. Furono proibiti i sindacati e i partiti politici e il governo turco fu accusato dall’estero di violazioni dei diritti umani. Nel 1983 una nuova Costituzione segnò l’inizio di un’apertura politica studiata per placare le critiche provenienti dall’Europa occidentale. I programmi del nuovo governo erano finalizzati ad ottenere l’ingresso nella Comunità Economica Europea e diedero quindi un nuovo impulso alla modernizzazione, distaccandosi dalle vecchie politiche nazionaliste ed accettando il liberalismo economico. Nel 1990 il governo si trovò a dover fronteggiare un crescente attivismo da parte dei separatisti curdi nelle zone sudorientali del paese, dove operava fin dal 1984 il Partito Curdo dei Lavoratori (PKK). Quando, nell’agosto del 1990, fu deciso l’embargo contro l’Iraq a seguito dell’invasione del Kuwait, la Turchia impedì il transito sul suo territorio del petrolio iracheno diretto nel Mediterraneo. Pur non inviando contingenti propri, la Turchia mise però a disposizione i suoi aeroporti militari e autorizzò le basi americane come piattaforme per i massicci bombardamenti contro l’Iraq.
L’opposizione criticò la decisione del governo in quanto comprendeva che avrebbe avuto delle ripercussioni sui rapporti con un paese vicino in una zona caratterizzata già da forti tensioni a causa dell’indipendentismo curdo. Ankara temeva che una possibile indipendenza del Kurdistan iracheno avrebbe potuto “contagiare” i curdi turchi. Il popolo curdo (19 milioni di persone) vive sotto la giurisdizione di quattro paesi diversi (la Turchia, la Siria, l’Iran e l’Iraq). Si tratta della minoranza etnica più consistente al mondo senza un territorio che possa chiamare patria. Per decenni la Turchia portò avanti una politica di annullamento culturale dei curdi, senza riconoscere loro il diritto alla propria lingua e identità culturale. Nell’ottobre del 1991 l’esercito turco, con l’appoggio dell’aviazione, invase la parte settentrionale del territorio iracheno per attaccare le basi del PKK. Fonti curde denunciarono bombardamenti ai danni della popolazione civile. Alle elezioni parlamentari del 20 ottobre vinse il Partito della Giusta Via (DYP) di Soliman Demirel che ottenne il 27% dei voti e 178 dei 450 seggi. La scarsa maggioranza ottenuta obbligò Demirel a cercare l’alleanza del Partito Popolare Socialdemocratico di Erdal Inönü (SHP), il terzo partito del paese con il 21% dei voti. Il Partito della Madre Patria (ANAP), che ottenne il 24% dei consensi, annunciò che sarebbe passato all’opposizione.
Nel marzo del 1992 il PKK, dichiarato illegale, annunciò la formazione di un governo di guerra e di un’Assemblea nazionale nel territorio che reclama come sede del Kurdistan, lo stato curdo che comprenderebbe parte della Turchia e dell’Iraq. Pochi giorni dopo, in concomitanza con l’anno nuovo curdo, scoppiò una rivolta popolare nelle province sudorientali e vi furono violenti scontri, specialmente nella città di Cizre, tra i guerriglieri e le forze di sicurezza turche. In aprile, dopo una visita a Damasco del ministro turco degli Interni Ismet Sezgin, la Siria e la Turchia annunciarono un accordo per combattere le “organizzazioni terroristiche” curde. Il governo siriano accettò di chiudere i campi di addestramento del PKK e di effettuare controlli più capillari nella zona di confine. Nel 1992 il Consiglio d’Europa fece pressione sul governo turco affinché riducesse la repressione contro la comunità curda. Le autorità turche decretarono un’amnistia per 5 mila prigionieri politici ed autorizzarono la circolazione dei quotidiani in lingua curda.
Nel 1993 il PKK decretò una tregua e propose di rinunciare alla pretesa di formare uno stato indipendente in Kurdistan in cambio dell’avvio di negoziati formali con il governo. Alla fine di maggio, visto l’atteggiamento evasivo del governo, i guerriglieri dichiararono la “guerra totale” ad Ankara ed iniziarono una serie di azioni in alcune città europee, soprattutto in Germania, accusata di fornire appoggio militare alla Turchia. Nel 1994 l’esercito turco estese l’offensiva, costringendo alla fuga gli abitanti di centinaia di villaggi del Kurdistan turco e contemporaneamente bombardando il Kurdistan iracheno per distruggere le basi del PKK. La crescita dei gruppi islamici in Turchia si evidenziò chiaramente nel 1995 in occasione delle elezioni di dicembre.
Il 1997 fu segnato dagli scontri tra il governo di Erbakan e l’opposizione laica appoggiata dalle Forze armate. Il comando dell’esercito presentò delle prove che dimostravano i legami del PP con le organizzazioni islamiche dichiarate illegali dal governo precedente, affermando che erano più pericolose dei separatisti curdi del PKK. Per decisione presidenziale, Erbakan fu sostituito in giugno da Mesut Yilmaz e la Corte Costituzionale, massimo organo giuridico turco, lo accusò di aver portato il paese “sull’orlo della guerra civile e di aver cospirato contro il regime laico”. In settembre circa 20 mila soldati turchi e 100 carri armati attraversarono il confine con l’Iraq in Kurdistan allo scopo di smantellare le basi militari del PKK. Il contingente turco, con l’appoggio di curdi iracheni del Partito Democratico del Kurdistan (KDP) accerchiarono le basi del PKK prossime al confine con l’Iran.
Nell’aprile 1998 il più noto dei comandanti del PKK, Semdin Sakik, si consegnò nel nord dell’Iraq alle forze del leader curdo iracheno Barzani, affermando che temeva di essere eliminato dal leader del suo partito, Abdullah Ocalan. Sakik era stato esonerato dal comando delle operazioni nel sud-est della Turchia, nella regione dei monti di Tunceli. Il rifiuto di offrire asilo politico ad Abdullah Ocalan alla fine del 1998 e il suo successivo arresto nel febbraio del 1999, mentre tentava di rifugiarsi nell’ambasciata greca in Kenya, scatenò l’ira dei curdi in Europa che protestarono per l’estradizione concessa alla Turchia. Manifestanti curdi occuparono diverse ambasciate greche in Europa per protestare contro la “consegna” del loro leader. Dopo un lungo processo, Ocalan fu condannato a morte in giugno, nonostante avesse chiesto clemenza e suggerito che il suo perdono da parte del tribunale avrebbe potuto aprire nuove intese politiche tra i curdi e Ankara. La debolezza militare del PKK e la scelta di salvaguardare il proprio leader fecero sì che in novembre la Corte d’Appello ratificasse la pena di morte.
Le elezioni dell’aprile 1999 diedero la maggioranza relativa al Partito della Sinistra Democratica (PID), che ottenne il 22,3% dei voti e 136 seggi, superando il Movimento Nazionalista, che ebbe il 18,1% dei voti e 129 seggi. Gli islamici del PV giunsero terzi (15,5%), superando i partiti della Madre Patria (13,3%) e del Giusto Cammino (12,1%). Con ampia maggioranza, il Parlamento approvò in giugno la creazione di un nuovo governo che si impegnò a sconfiggere la guerriglia curda nel sud-est del paese. La sentenza di morte contro Ocalan fu sospesa nel gennaio 2000, in attesa del verdetto della Corte Europea dei Diritti Umani. In febbraio, durante un congresso, il PKK annunciò che avrebbe abbandonato la lotta armata, presentando un progetto in sette punti per diventare partito politico.
Nell’ottobre 2000, più di mille prigionieri politici realizzarono uno sciopero della fame, rivendicando lo scioglimento dei Tribunali di Sicurezza dello Stato e la fine della repressione contro le famiglie dei detenuti e dell’oppressione contro il popolo curdo. Il governo intraprese una campagna di contropropaganda e di terrore su vasta scala, che diede luogo a detenzioni e torture di sostenitori degli scioperanti, provocando centinaia di feriti. A sessanta giorni dall’inizio dello sciopero, lo Stato assaltò simultaneamente 20 carceri e uccise non meno di 30 persone, molte delle quali furono bruciate vive. Le autorità, non riuscendo a piegare la resistenza con la carneficina, tentarono di corrompere i detenuti con l’opzione di metterli in libertà. Molti vennero liberati, ma quasi tutti entrarono nelle file del PKK.
Nell’ottobre 2001 il Parlamento adottò un nuovo pacchetto di riforme che includeva l’abolizione della pena di morte, con l’eccezione delle situazioni di guerra e degli atti di terrorismo. Nello stesso tempo autorizzò trasmissioni radiotelevisive finalizzate a migliorare la possibilità di aderire all’UE, mediante campagne di persuasione. Poco dopo, su richiesta dell’UE, cominciò un dibattito per ammettere l’uso della lingua curda in trasmissioni radiotelevisive. Nell’aprile 2002, due anni dopo aver dichiarato la fine della lotta armata, il proscritto PKK annunciò formalmente di aver scelto un nuovo nome – Congresso Curdo per la Libertà e la Democrazia (KADEK) – e una nuova strategia, manifestando il desiderio di iniziare una campagna pacifica per i diritti del popolo curdo. Nel luglio 2003 il Parlamento approvò leggi in favore dei diritti dei curdi e abolì la pena di morte. La condanna a morte di Ocalan fu commutata in ergastolo. In settembre il Congresso Curdo per la Libertà e la Democrazia (l’ex PKK) interruppe una tregua che durava dal 2001, sostenendo che le autorità non applicavano le leggi sui diritti dei curdi.
Nel novembre 2003 un’autobomba esplose presso una sinagoga a Istanbul, uccidendo 25 persone e ferendone altre 200. Due giorni dopo, attacchi coordinati al consolato britannico e a una banca inglese uccisero altre 25 persone ad Ankara. In precedenza nella capitale, nel gennaio 2002, due persone erano rimaste uccise in un apparente attacco suicida a una loggia massonica. Nel febbraio 2004 il Consiglio d’Europa presentò ad Ankara un progetto per l’effettiva applicazione dei diritti dei curdi, basato su un rapporto di Amnesty International che accusava le autorità turche di più di 30.000 omicidi, migliaia di “sparizioni”, torture, violenze sessuali contro le donne ecc. Inoltre, il Consiglio d’Europa chiese al governo di ratificare lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale, di limitare il numero di militari nel Consiglio Nazionale di Sicurezza – che controlla le istituzioni governative – e di sciogliere i “tribunali speciali di sicurezza” accusati di violazioni dei diritti umani. Il Consiglio chiese poi alla Turchia di negoziare pronte riparazioni per gli abusi contro la popolazione greca a Cipro. Nel dicembre 2004 il Parlamento europeo si è espresso a favore dell’allargamento dell’Unione Europea alla Turchia.
Nel gennaio 2005 un comitato di funzionari sudafricani e tedeschi giunge in Turchia per investigare su violazioni dei diritti umani e sulla detenzione del leader del popolo kurdo, Abdullah Ocalan. Il comitato ha dichiarato che l’isolamento attuato nei confronti di Ocalan costituisce una “tortura permanente” e che intende lavorare affinché abbia fine. Il comitato ha reso nota una dichiarazione sulle proprie attività, nell’Ufficio di Istanbul dell’IHD. I membri del comitato provengono da organizzazioni non governative e istituzioni africane ed europee, e sono: il legale Essa Moosa, Johannen Moses Jacobens, Rolf Gossern, Helde Schneider, Samuel Jordan, Joel Dutto, il docente universitario Norman Paech. Ha partecipato alla conferenza stampa anche il Presidente dell’IHD di Istanbul, Eren Keskin.
La Corte Europea dei Diritti Umani emana il 12 maggio la sua decisione riguardo al ricorso giudiziario in appello presentato da Abdullah Öcalan, leader ribelle kurdo attualmente in carcere. Il ricorso di Öcalan è volto a contestare le condizioni di detenzione a cui è sottoposto in una prigione turca situata sulla remota isola di Imrali. Il legale di Öcalan ha sostenuto che il suo cliente è sottoposto a “tortura psicologica” e che soffre di asma e altre malattie a causa dell’umidità del carcere in cui si trova. Nell’ottobre 2005 una delegazione del Parlamento Europeo, inviata in Turchia per verificarne i progressi nel campo dei diritti umani, rinviene sconvolgenti relazioni riguardo a omicidi e mutilazioni. Queste scoperte giungono una settimana dopo l’apertura delle trattative a Bruxelles sull’ingresso della Turchia nell’UE, e mettono in luce l’entità dei progressi che il Paese a predominanza musulmana deve ancora compiere per poter aspirare a entrare nell’Unione Europea.