Uruguay. I primi mesi dopo il cambio politico

di Paolo Menchi

L’Uruguay è un piccolo paese, soprattutto confrontato con i vicini più prossimi Argentina e Brasile, di circa tre milioni e mezzo di abitanti, di cui si parla sempre abbastanza poco.
Non è detto che questo sia un fatto negativo perché se l’Uruguay non è presente nelle cronache è anche perché si tratta di una nazione senza grandi scontri sociali, dove nei mesi scorsi è avvenuta una transizione politica importante senza tensioni, tipico di un paese democratico moderno che per questo gode di una certa stabilità politica, tanto cara agli investitori stranieri.
Se guardiamo solo a quanto successo nell’ultimo anno, non si può dire altrettanto degli altri paesi della zona, basti pensare al mezzo golpe in Bolivia, ai pesanti scontri di piazza in Cile e Perù, alla contorta situazione politica venezuelana, e alle aspre contrapposizioni in Argentina e Brasile.
Per 15 anni il paese è stato guidato da una coalizione di sinistra (il “frente amplio”) che ha avuto indubbi meriti nella crescita sociale e civile, basti pensare che il tasso di povertà è sceso dal 40% all’8% con una distribuzione dei redditi molto più equilibrata, il salario medio è cresciuto del 55%, il PIL è aumentato in media del 4% all’anno, è stata allargata l’assistenza sanitaria gratuita ed è stato approntato un importante programma di costruzioni per concedere il diritto alla casa a migliaia di persone che vivevano nelle baraccopoli.
Inoltre, è stata liberalizzata la marijuana e sono stati legalizzati l’aborto e i matrimoni tra persone dello stesso sesso. Non molto positivi invece i dati che riguardano l’inflazione (circa 9%) ed il tasso di disoccupazione (circa 10%).
Per molti anni, e in parte ancora lo è, l’uomo immagine dell’Uruguay è stato Pepe Mujica, presidente dal 2010 al 2015, oltre che ministro in governi precedenti, l’uomo, ex tupamaro, che ha combattuto ed ha subito dure condanne durante la pesante dittatura militare e che ha teorizzato un modello di sviluppo più umano. È rimasto famoso un suo discorso all’Onu in cui criticava la società consumistica moderna dedita solo alla crescita che dimentica la felicità di una vita tranquilla.
In una società democratica qualsiasi partito tende ad usurarsi, tanto che, dal marzo 2020, grazie alla vittoria alle elezioni del novembre 2019, è diventato presidente Luis Alberto Lacalle Pou, leader della formazione di centro-destra “Coalición multicolor”.
Non è certo stato il periodo migliore per iniziare un mandato visto che è coinciso con l’inizio della pandemia, peraltro molto ben gestita, a differenza di quanto avvenuto nei paesi della stessa area geografica.
Sono state chiuse scuole, uffici ed attività commerciali ma non è mai stato decretato nessun lockdown, facendo leva sul senso civico e sull’orgoglio degli uruguaiani, presentando il virus come una sorta di nemico comune da combattere tutti insieme.
Sono stati effettuati test di massa per individuare le fonti di contagio, si è investito molto sull’informazione e le strutture pubbliche e private sono state organizzate in modo da lavorare in simbiosi. Così come, a differenza della maggior parte dei paesi, c’è stata collaborazione anche a livello politico, infatti, pur essendo praticamente un paese diviso a metà tra i due schieramenti, la competizione non è stata mai estremizzata e scorretta. Ad oggi i morti sono solo 118 e le strutture sanitarie non sono mai state particolarmente affollate.
Le elezioni dipartimentali di fine settembre hanno premiato il governo che ha conquistato 15 dei 19 dipartimenti disponibili.
Come per tutti gli altri paesi diventa difficile dare giudizi a livello economico a causa degli effetti devastanti della pandemia, soprattutto in Argentina e Brasile, che ha coinvolto molto anche il settore turistico uruguaiano, vista la moltitudine di persone che normalmente da questi due paesi andava in vacanza nelle spiagge di Playa del Este.
Se si considera che il turismo rappresenta circa il 10% del pil e che dà lavoro a 100.000 persone si può comprendere quanto sia pesata la mancanza di turisti così, come, probabilmente, sono stati insufficienti i sostegni economici del governo al settore, ora in forte crisi.
Nonostante una grande parte dei terreni uruguaiani sia utilizzata per coltivazioni, allevamento e silvicoltura il settore primario rappresenta solo il 10% del pil mentre quello industriale contribuisce per il 20% e, analogamente alle nazioni più sviluppate, il settore servizi incide per il 70%.
Vedremo nei prossimi mesi come il governo riuscirà a portare avanti i suoi obiettivi che in campo economico erano mirati soprattutto ad un’ampia privatizzazione nel settore produttivo riducendo l’influenza statale e combattendo la disoccupazione.
Lassalle ha anche dichiarato di voler incrementare i rapporti commerciali con la Cina e con L’unione europea e di voler contribuire a rafforzare il Mercosur (il mercato comune sudamericano).