Uruguay. Morto Mujica, il presidente più povero del mondo

di Giorgio Cattaneo –

“Il compito di ciascuno di noi è migliorare il mondo in cui siamo nati. Il compito di un dirigente politico è quello di lasciare cuori e braccia che lo sostituiscano quando se ne va”. Parole e pensieri di Pepe Mujica, guerrigliero rivoluzionario, detenuto e poi presidente dell’Uruguay dal 2010 al 2015. Era “il presidente più povero del mondo”, capace di ricoverare gli homeless di Montevideo nel suo palazzo presidenziale. Un presidente-contadino, poi ritiratosi nella sua fattoria (per auto, un vecchio Maggiolone). Non era retorica: era davvero fatto così, l’uomo che si è spento il 13 maggio alla vigilia dei novant’anni. Lo piangono la moglie Lucia Topolansky, già vicepresidente del paese, e il suo successore e delfino, Yamandú Orsi, attuale capo dello Stato.
José Alberto Mujica Cordano, per tutti Pepe, era stato colpito da un tumore all’esofago. Lui stesso, a gennaio, aveva annunciato che il tumore si era espanso al fegato: “Il mio corpo non ce la fa più. Il mio ciclo è finito e un guerrigliero ha diritto a riposare”. Il marxista Mujica era stato un combattente con i Tupamaros, movimento di guerriglia urbana ispirato alla rivoluzione cubana. Tra gli anni Sessanta e Settanta, anche l’Uruguay lottava contro la classica dittatura sostenuta dagli Usa, democratici a casa loro ma non certo in Sudamerica. Risultato: il Pertini uruguayano trascorse ben 12 anni in carcere, in condizioni di isolamento totale, subendo anche durissime torture. Venne liberato solo nel 1985, con il ritorno della democrazia, quando i detenuti politici ricevettero l’amnistia.
Eletto deputato per la prima volta nel 1994, venne poi nominato ministro dell’Allevamento nel 2005. Nel 2009 vinse le elezioni presidenziali con il 48% dei voti, ricorda “Fanpage”, newsmagazine a cui Mujica concesse un’intervista nel 2021. “Era noto per il suo carisma e il suo approccio frugale, dovuto alle origini contadine e all’essere cresciuto in povertà”. Era realmente un presidente senza portafoglio, visto che “donava la grande maggioranza del suo stipendio in beneficienza”. Si batté per introdurre grandi riforme: legalizzazione della marijuana, depenalizzazione dell’aborto, matrimoni omosessuali. In primo piano, soprattutto i diritti sociali: “In quegli anni i salari minimi aumentarono del 250%, e il tasso di povertà nel paese scese dal 45% all’11%”.
L’Uruguay, ricorda ancora “Fanpage”, divenne anche leader nel settore delle energie rinnovabili: Pepe Mujica credeva nella necessità di salvare la Terra dall’impatto devastante delle attività umane. Riteneva che “la redistribuzione della ricchezza” fosse “la sfida principale della nostra epoca”. E auspicava che l’impegno per l’ambiente si coniugasse con “la battaglia contro le disuguaglianze”. Se n’è andato in punta di piedi: “Il mio piano per il futuro è continuare a fare il possibile per aiutare la mia gente, lavorando insieme ai giovani come semplice militante, perché credo che il miglior dirigente politico sia quello che forma persone di gran lunga migliori di lui”. Era ovviamente di un altro pianeta, rispetto agli squallidi figuranti che oggi guidano l’Europa.

* Articolo in mediapartnership con Nuovo Giornale Nazionale.