Usa. Biden e la Corte Suprema: una riforma centrista e prudente?

di Domenico Maceri * –

SAN LUIS OBISPO (USA). Si tratta di un “attacco diretto all’indipendenza del sistema giudiziario della nostra nazione”. Ecco come Mitch McConnell, repubblicano del Kentucky e leader della minoranza al Senato, ha caratterizzato la commissione presidenziale per la riforma della Corte Suprema. Nel suo annuncio, Joe Biden ha informato che sono stati selezionati 36 studiosi di giurisprudenza, avvocati ed ex giudici federali per studiare quali modifiche sarebbero utili per ristabilire un bilanciamento nel massimo organo giurisdizionale del Paese. Come si sa, la Corte Suprema americana attuale è composta da 9 giudici, 6 dei quali sono stati nominati da presidenti repubblicani e 3 da democratici.
È proprio questo sbilanciamento nella Corte Suprema che Biden e la sinistra in generale vorrebbero ritoccare senza però attaccare il sistema giudiziario. Se qualcuno lo ha attaccato e deformato infatti, bisogna proprio guardare al comportamento di McConnell. Va ricordato che se la Corte Suprema pende a destra il merito è proprio del senatore del Kentucky che ha abusato il suo potere per portare l’acqua al mulino del suo partito. McConnell nel 2016 congelò la nomina di Merrick Garland fatta dall’allora presidente Barack Obama con una trovata originale che diventò esplicitamente ipocrita. McConnell asserì che in un anno di elezione presidenziale il futuro presidente e non quello in carica aveva il diritto di nominare il giudice che avrebbe sostituito Antonin Scalia, morto poco tempo prima. Con l’elezione di Donald Trump nel 2016, Neil Gorsuch andò ad occupare il seggio di Scalia, in effetti “rubandolo” ai democratici. Nel caso di Garland mancavano 237 giorni all’elezione e quindi c’era più che sufficiente tempo per la conferma. Poi quando nel 2020 morì Ruth Bader Ginsburg, McConnell dichiarò che il suo sostituto sarebbe sottoposto al voto di ratifica della Camera Alta al più presto. L’elezione presidenziale sarebbe avvenuta in 47 giorni, una conferma lampo dunque comparata al congelo ed eventuale revoca di quella di Garland.
McConnell ha dunque poche ragioni per lamentarsi di una possibile riforma della Corte Suprema considerando le sue azioni sul sistema giudiziario. McConnell ha inoltre imballato il sistema giudiziario inferiore durante i quattro anni di amministrazione di Trump confermando 234 giudici dei diversi distretti federali, incluso 54 giudici di Corte di Appello. Questi nuovi giudici avranno un impatto dell’amministrazione dell’ex presidente per decenni. Considerando che la Corte Suprema accetta solo il 3 percento dei casi proposti e il 97 percento vengono decisi da queste corti inferiori, McConnell ha in un certo senso vinto la battaglia giudiziaria anche con un’eventuale riforma della Corte Suprema.
Ciononostante la Corte Suprema è importantissima e il fatto che i repubblicani abbiano nominato 6 dei 9 giudici ha causato serie preoccupazioni alla sinistra. La commissione di Biden dovrebbe consegnargli un rapporto finale in 180 giorni e poi si vedrà cosa vuole modificare il 46esimo presidente. Si crede che i due elementi principali siano il numero totale delle toghe e l’incarico a vita dei giudici. Agli inizi della storia americana i giudici erano 6, poi furono aumentati a 10 durante la Guerra Civile, e nel 1869 il numero fu ridotto a 9 che continua tuttora. I cambiamenti si possono fare dunque e infatti considerando i 152 anni passati dall’ultimo aggiornamento alcune modifiche sarebbero giustificate.
Il numero 9 però è popolare e persino la giudice Bader Ginsburg, icona della sinistra, aveva indicato che era un ottimo numero per la Corte Suprema. Anche l’attuale giudice liberal Stephen G. Breyer, in un recente discorso alla Harvard University, ha sottolineato che il numero è adeguato e che l’aggiunta di altri “eroderebbe la fiducia” che gli americani hanno nel sistema giudiziario. Breyer ha anche difeso l’attuale Corte Suprema ricordando giustamente che in alcuni casi la maggioranza ha votato contro desideri conservativi come l’Obamacare (la riforma sanitaria di Barack Obama), l’immigrazione, e l’aborto. Breyer avrebbe potuto anche aggiungere la “sconfitta” di Trump nel suo ricorso per ribaltare il risultato dell’elezione del 2020, causando l’ex presidente di accusare i giudici di ingiustizia, dichiarando che “dovrebbero vergognarsi”. Breyer da parte sua è sotto il mirino della sinistra perché a 82 anni, il più anziano fra i nove giudici, potrebbe andare in pensione permettendo a Biden di nominare la prima donna afro-americana alla Corte Suprema come ha promesso. La sinistra, però, vorrebbe aumentare il numero immediatamente per stabilire un certo bilanciamento fra giudici nominati da repubblicani e democratici. Aggiungendo altri 3 o 4 giudici nei prossimi anni si potrebbe raggiungere questa meta.
Biden nel 1983 aveva dichiarato che imballare la Corte Suprema era “un’idiozia” ma le cose sono cambiate con le recenti azioni repubblicane al Senato e le spinte dell’ala sinistra del suo partito che lo hanno costretto ad agire anche se in maniera prudente. Bisognerà vedere le raccomandazioni che riceverà. Con ogni probabilità l’incarico a vita dei giudici sarà preso di mira e potrebbe risultare in una raccomandazione con supporto bipartisan. Al momento i giudici spesso vanno in pensione quando un presidente con analoghe vedute ideologiche è in carica onde dargli l’opportunità di nominare un nuovo giudice che possa essere un “clone”. Il più recente esempio di questo problema si è verificato nel caso di Anthony Kennedy il quale andò in pensione nel 2018. Ciò permise a Trump di nominare Brett Kavanaugh la cui conferma fu ottenuta nonostante le accuse di molestie sessuali quando era studente al liceo.
Secondo la Costituzione il governo può modificare il numero e le modalità della Corte Suprema che includono anche il significato di maggioranza per decidere i casi. Al momento si tratta di una semplice maggioranza ma si potrebbe istituire una super maggioranza del 60 percento come esiste al Senato, ossia la nota regola del filibuster. Ed è proprio questa regola del Senato che sarà il più grosso scoglio in qualunque raccomandazione fatta dalla commissione, assumendo che Biden vorrà metterne in atto. Si tratta infatti dello scoglio che lega le mani a tutta l’agenda politica dell’attuale inquilino alla Casa Bianca considerando l’intransigenza dei senatori repubblicani.

* Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della National Association of Hispanic Publications.